CORSI DI FORMAZIONE E REPORTS DI ANALISI E RICERCA INDIPENDENTE IN AMBITO FINANZIARIO ED ECONOMICO

IL SERVIZIO DI FORMAZIONE IN AMBITO FINANZIARIO ED ECONOMICO L’offerta formativa in campo finanziario ed economico di FINANZA MONITOR è suddivisa in 5 aree: 1) Area Analisi Finanziaria e Macroeconomica 2) Area Tecniche di gestione del portafoglio 3) Area Trading on line e Tecniche di trading 4) Area Divulgazione e Cultura finanziaria 5) Area Strumenti finanziari Per ciascuna di queste aree ogni singolo corso ha durata e contenuti adattabili alle effettive esigenze di formazione del cliente; indicativamente ciascun momento formativo può avere una durata da una a tre giornate, a seconda della tipologia e del grado di approfondimento del corso. Per ogni momento formativo proposto viene fornito il materiale ed i riferimenti bibliografici per ulteriori momenti di approfondimento. E' possibile avere un dettagliato programma sui contenuti, il materiale fornito, le finalità che esso si propone, le persone a cui può essere rivolto e i costi. La personalizzazione non riguarda solo il contenuto dei corsi ma anche il luogo in cui si svolgono; infatti, la novità proposta da Finanza Monitor è la formazione a domicilio attivabile dal cliente, laddove questo risieda nel Nord-Centro Italia; infatti, a richiesta dell’utente, un docente potrà recarsi al domicilio della persona interessata e svolgere in modo personalizzato il corso prescelto soddisfando in modo attento tutte le richieste di approfondimento che emergeranno in quella sede. IL SERVIZIO DI REPORTISTICA FINANZIARIA FINANZA MONITOR offre, previa sottoscrizione a pagamento, un servizio di inoltro nella propria mail di reports di analisi e ricerca sui mercati finanziari. Vi interessa seguire l'evoluzione di un titolo azionario, di un mercato finanziario o di una valuta? Volete avere a disposizione un report professionale, tempestivo, indipendente e a basso costo, che Vi aiuti a prendere decisioni di investimento? Vediamo allora nel dettaglio le caratteristiche principali del servizio di reportistica. A) Tutti i reports sono forniti di una tabella di riepilogo che riassume il posizionamento sullo strumento oggetto del report; le posizioni si intendono aperte e chiuse al prezzo di apertura del giorno dopo rispetto al quale FINANZA MONITOR inoltra il report via mail; B) Tutti i reports sono forniti di un track record storico che indica la percentuale di guadagno/perdita teorica conseguente ai posizionamenti indicati e si azzera alla fine di ciascun anno; C) Tutti i reports sono inviati per mail; D) Il pagamento dei reports è anticipato e il costo è in funzione del numero di reports richiesto; E) Il servizio di inoltro dei reports si attiva non appena abbiamo ricevuto la conferma del pagamento; F) Il recesso dal servizio deve essere effettuato tramite l’inoltro di una mail di richiesta. Due sono le famiglie di reports offerte: gli ALERT REPORTS e gli STRATEGY REPORTS. ALERT REPORTS 1) Italian Stock Monitor: Siete interessati a seguire l'andamento di un'azione italiana? Questo report Vi permette di ricevere aggiornamenti, a Vostra scelta, su una o più azioni del listino italiano. Troverete contenuti di analisi tecnica e fondamentale sulle azioni di cui volete avere informazioni ed analisi aggiornate. Potrete personalizzare la Vostra richiesta nell'ambito delle azioni quotate presso la Borsa italiana. 2) Forex Report: Si tratta di un report di analisi tecnica e macroeconomica che fa il punto della situazione sui principali cambi (Euro Dollaro, Euro Yen ed Euro Sterlina); di sicuro aiuto per le aziende che hanno necessità di gestire il rischio cambio e vogliono un punto di riferimento affidabile per decidere cosa fare quando si ricevono flussi o si devono effettuare pagamenti in valuta. Costi: 8 euro a report singolarmente; per sottoscrizioni di 25 ALERT REPORTS (durata del servizio di circa 6 mesi) il prezzo scende a 6 euro per ogni report. E’ previsto l’inoltro di 2 reports gratuiti in sede di prima sottoscrizione del servizio. Cadenza: fino a 50 reports all’anno. STRATEGY REPORTS 1) Asset Allocation Report: Si tratta di un report di strategia ed asset allocation di medio lungo termine rivolto a investitori privati ed istituzionali; contiene tematiche di macroeconomia, analisi fondamentale ed analisi tecnica sui mercati azionari, obbligazionari, delle materie prime e valutari che aiutano l'investitore a fare scelte di investimento in modo più consapevole, informato e razionale. Costo: 30 euro una Asset Allocation Letter Per sottoscrizioni di almeno 6 report (durata del servizio di circa 6-8 mesi) il prezzo è di 25 euro a report. E’ previsto l’inoltro di 1 report gratuito in sede di prima sottoscrizione del servizio. Cadenza: Da 4 a 12 reports all’anno. Per ulteriori informazioni sull'offerta formativa dei diversi corsi, sul programma di ogni corso attivato e sui contenuti dei vari reports, sui costi e sulle modalità di fruizione di queste due tipologie di servizi, potete inviare una mail di richiesta al seguente indirizzo: finanzamonitor@yahoo.it

Sunday, January 24, 2010

Il dibattito sul nuovo assetto delle istituzioni finanziarie: il parere di Financial Markets LAB

Il dibattito sui nuovi assetti dell'economia e delle istituzioni finanziarie è in corso; pubblichiamo un'interessante voce fuori dal coro del blog Financial Markets LAB.

Quando leggo certi articoli rimango, sinceramente molto perplesso. Mi riferisco a quello pubblicato su Il Sole 24 Ore di venerdì 22 gennaio a pagina 12, di Donato Masciandaro. L’articolo, intitolato “Giù le mani dalle banche centrali”, è una difesa a spada tratta, riguardo l’autonomia delle banche centrali, alla luce della crisi vissuta dall’economia globale. In apparenza, la causa dell’indipendenza e dell’autonomia appare sacrosanta, tuttavia mi preme fare alcune considerazioni, entrando in punta di piedi nel dibattito in corso, riguardo il ruolo che dovranno giocare le banche centrali in futuro. L’articolo evidenzia la differenza tra banca centrale monetarista, che si pone come unico obiettivo quello della stabilità dei prezzi e banca centrale di stampo keynesiano, che tende ad avere responsabilità anche nell’ambito della vigilanza.
Masciandaro scrive:”Finora infatti le banche centrali monetariste hanno ben perseguito il loro obiettivo primario: il controllo dell’inflazione, soprattutto nelle economie sviluppate. In secondo luogo, le banche centrali monetariste, almeno finora, hanno tutelato meglio anche la stabilità monetaria”.
Masciandaro prosegue ancora:”Dunque, dopo la lezione della crisi, la ricetta dovrebbe essere: mantenere le banche centrali indipendenti nella gestione della politica monetaria, evitando che si occupino anche della vigilanza”.
In altre parole, l’autore sarebbe per una banca centrale di stampo monetarista che mantenga la propria indipendenza. Ebbene, questa soluzione significherebbe non avere imparato nulla dalla più grave crisi economica vissuta finora dalle economie occidentali. Il vero problema, a mio avviso, non è lo scegliere tra l’impostazione monetarista o quella keynesiana ma piuttosto quello di riconoscere, innanzitutto, che gli obiettivi di stabilità dei prezzi e monetaria, nel corso degli ultimi anni, non sono stati pienamente raggiunti. Le ragioni di questo parziale fallimento sono legate, in parte, ad effettivi casi di incapacità di alcuni banchieri centrali e, in larga misura, alla manifesta impossibilità di prevedere l’andamento futuro delle principali variabili macroeconomiche. Come si fanno ad utilizzare strumenti di politica monetaria in modo efficace quando le decisioni si basano su variabili macroeconomiche difficili da prevedere?! Un banale esempio? Negli Usa vengono fornite a distanza di tempo 3 stime del Pil che cambiano anche molto l’una dall’altra.
Tornando ai risultati ottenuti dalle banche centrali, cito un solo esempio: la situazione di deflazione in cui versa da molti anni il Giappone ed in cui potrebbero cadere altre economie, come quella statunitense, qualora la Federal Reserve sbagli nel giocare la carta della exit strategy. In effetti, tenendo conto delle distorsioni nelle misurazioni standard dei prezzi a livello aggregato, la frequenza trimestrale di una “deflazione effettiva” è aumentata sensibilmente negli ultimi anni (si veda la tabella seguente). La recente esperienza giapponese e quella della Grande Depressione mostrano con chiarezza come un contesto apparentemente favorevole di bassa inflazione possa cedere il posto a una deflazione dirompente. La tabella qui in basso mostra in percentuale il numero di trimestri in cui i diversi Paesi esaminati hanno sperimentato livelli di crescita dei prezzi sotto 1%.

Inoltre, l’uso indiscriminato della leva monetaria è stata una delle principali cause dell’instabilità e delle bolle finanziarie susseguitesi una di seguito all’altra: dalla bolla tecnologica degli anni duemila a quella dei mutui subprime e del mercato immobiliare Americano del 2007, con conseguenze pesanti sull’economia reale e sull’andamento dei mercati finanziari. A che prezzo quindi, le banche centrali hanno perseguito, senza raggiungerli pienamente, i loro obiettivi di controllo dell’inflazione e di stabilità monetaria?! Qual’è stato il costo sociale delle politiche monetarie adottate dalle banche centrali?!
Masciandaro sostiene poi che “le banche centrali monetariste, almeno finora, hanno tutelato meglio anche la stabilità monetaria.”
Non entro nel merito della scelta tra banca centrale monetarista e keynesiana; se per stabilità monetaria l’autore intende il contenimento delle oscillazioni dei cambi, sinceramente non mi risulta che l’obiettivo sia stato raggiunto; cito un solo esempio: il dollar index, indice paniere delle principali valute contro il dollaro americano solo negli ultimi due anni è andato da 72 a 88 e poi è tornato a 74; un range di escursione di oltre il 20%. Questa si chiama stabilità monetaria?! La stabilità monetaria non è perseguibile in un regime di cambi flessibili, in un contesto cioè dove il rapporto di cambio si muove, si aggiusta (anzi si deve aggiustare!) in funzione delle aspettative degli investitori, fungendo proprio da meccanismo riequilibratore. Ebbene, non esiste nessuna banca centrale al mondo in grado di mantenere fermo o stabile il proprio tasso di cambio. Ricordo ad esempio negli anni passati gli sforzi, completamente inutili, perseguiti da Bank of Japan per stabilizzare lo Yen. Proprio in questa fase gli Usa hanno bisogno di un dollaro debole per mitigare i disequilibri esistenti.
Tornando alle politiche monetarie, effettivamente, negli ultimi decenni del Novecento, pressoché in tutti i Paesi occidentali, ci si è orientati a considerare cruciale il controllo del tasso di inflazione. Alle banche centrali è stato affidato il compito di perseguire la stabilità dei prezzi.Si è affermata la consapevolezza che l'inflazione comporta costi elevati agli operatori economici perché altera il valore segnaletico dei prezzi relativi nell’allocazione delle risorse. Secondo questa logica quindi la banca centrale deve porsi come obiettivo la determinazione di un tasso ottimale di inflazione che sia stabile nel tempo. In effetti, i motivi che depongono a favore della stabilità monetaria, e quindi per una politica monetaria che si ponga l’obiettivo di stabilizzare il tasso di inflazione su un valore prossimo a zero, sono molteplici. Ad esempio, la combinazione di inflazione e sistemi tributari non perfettamente indicizzati può generare distorsioni fiscali (il cosiddetto fiscal drag). Un tasso d’inflazione instabile poi, può dar luogo a fenomeni di illusione monetaria che induce gli operatori a adottare decisioni non corrette. Inoltre, se l’inflazione è di per sé un fenomeno negativo l’obiettivo della stabilità monetaria ha il pregio di essere semplice e credibile per le autorità monetarie che s’impegnano a conseguirlo.
Tuttavia, affinché le politiche monetarie anti-inflazionistiche non siano socialmente costose è necessario che si verifichino tre importanti condizioni:
a) il mercato del lavoro deve trovarsi continuamente in equilibrio (non devono quindi esistere contratti di lavoro multiperiodali);b) le aspettative non devono essere di tipo adattivo; nel caso di aspettative adattive che tendono, quindi, a modificarsi lentamente, se la banca centrale adotta una politica restrittiva, che consente di eliminare l'inflazione, ciò avverrà al prezzo di un aumento del tasso di disoccupazione nel breve periodo perchè le aspettative circa il tasso d’inflazione prevalente nel periodo successivo saranno riviste gradualmente, quindi anche i salari monetari si adegueranno con ritardo, per cui si avrà un aumento temporaneo del tasso di disoccupazione oltre il suo livello naturale.
c) le politiche monetarie annunciate devono essere credibili; se la banca centrale gode di un'elevata reputazione, non solo la soluzione non-inflazionistica risulta più facilmente raggiungibile, ma l'efficacia della politica monetaria è accresciuta, perché i segnali lanciati dalle autorità monetarie risultano credibili.

Ho seri dubbi circa la possibilità che queste tre condizioni sussistano o siano esistite simultaneamente nei periodi passati. Da qui traggo una prima importante conclusione ribadendo un concetto già espresso: la questione cruciale non è la scelta tra banche monetariste o keynesiane; la questione è: poiché le banche centrali non sono in grado di perseguire pienamente l’obiettivo di controllo dell’inflazione, anzi con le loro politiche monetarie hanno alimentato i problemi del sistema, mai come ora, dopo “la madre di tutte le crisi economiche” è necessario cogliere l’occasione per ridefinirne il loro ruolo assegnandogli obiettivi effettivamente raggiungibili e volti a creare benessere e crescita economica sostenibile. Abbiamo davanti a noi una grande possibilità: quella di definire un nuovo paradigma e di ridisegnare le regole del sistema economico.
Ben vengano a questo proposito le visioni illuminate di grandi economisti come Partha Dasgupta che, ad esempio, mettono in discussione l’abc dell’economia: le modalità di calcolo del Pil di un Paese!
La questione dell’indipendenza di cui parla Masciandaro poi, è un altro nodo da chiarire.
E’ vero, l’indipendenza della banca centrale è stata introdotta in molti Paesi, con un obiettivo ben chiaro e facile da misurare: combattere l’inflazione. Tuttavia molti autori evidenziano come i risultati ottenuti contro l’inflazione dipendano non tanto dall’indipendenza in se ma da quanto le istituzioni del Paese sono forti; l’evidenza empirica mostra come i risultati contro l’inflazione sembrano scarsi o del tutto assenti nei Paesi con istituzioni politiche troppo forti oppure deboli. Viceversa, l’effetto sull’inflazione è più forte nei Paesi con istituzioni di forza intermedia.
Pertanto, se da un lato l’indipendenza è un concetto condivisibile, dall’altro la definizione dell’indipendenza di una banca centrale non può prescindere da un’attenta analisi della qualità delle istituzioni del Paese a cui appartiene.Dunque, bisogna ridefinire il ruolo e le responsabilità delle banche centrali alla luce dei limiti che le loro politiche, a volte dissennate, hanno mostrato avere in questi anni, modulandone l’indipendenza in funzione dei Paesi a cui appartengono.

Financial Markets LAB (http://www.financialmarketslab.blogspot.com/)

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