CORSI DI FORMAZIONE E REPORTS DI ANALISI E RICERCA INDIPENDENTE IN AMBITO FINANZIARIO ED ECONOMICO

IL SERVIZIO DI FORMAZIONE IN AMBITO FINANZIARIO ED ECONOMICO L’offerta formativa in campo finanziario ed economico di FINANZA MONITOR è suddivisa in 5 aree: 1) Area Analisi Finanziaria e Macroeconomica 2) Area Tecniche di gestione del portafoglio 3) Area Trading on line e Tecniche di trading 4) Area Divulgazione e Cultura finanziaria 5) Area Strumenti finanziari Per ciascuna di queste aree ogni singolo corso ha durata e contenuti adattabili alle effettive esigenze di formazione del cliente; indicativamente ciascun momento formativo può avere una durata da una a tre giornate, a seconda della tipologia e del grado di approfondimento del corso. Per ogni momento formativo proposto viene fornito il materiale ed i riferimenti bibliografici per ulteriori momenti di approfondimento. E' possibile avere un dettagliato programma sui contenuti, il materiale fornito, le finalità che esso si propone, le persone a cui può essere rivolto e i costi. La personalizzazione non riguarda solo il contenuto dei corsi ma anche il luogo in cui si svolgono; infatti, la novità proposta da Finanza Monitor è la formazione a domicilio attivabile dal cliente, laddove questo risieda nel Nord-Centro Italia; infatti, a richiesta dell’utente, un docente potrà recarsi al domicilio della persona interessata e svolgere in modo personalizzato il corso prescelto soddisfando in modo attento tutte le richieste di approfondimento che emergeranno in quella sede. IL SERVIZIO DI REPORTISTICA FINANZIARIA FINANZA MONITOR offre, previa sottoscrizione a pagamento, un servizio di inoltro nella propria mail di reports di analisi e ricerca sui mercati finanziari. Vi interessa seguire l'evoluzione di un titolo azionario, di un mercato finanziario o di una valuta? Volete avere a disposizione un report professionale, tempestivo, indipendente e a basso costo, che Vi aiuti a prendere decisioni di investimento? Vediamo allora nel dettaglio le caratteristiche principali del servizio di reportistica. A) Tutti i reports sono forniti di una tabella di riepilogo che riassume il posizionamento sullo strumento oggetto del report; le posizioni si intendono aperte e chiuse al prezzo di apertura del giorno dopo rispetto al quale FINANZA MONITOR inoltra il report via mail; B) Tutti i reports sono forniti di un track record storico che indica la percentuale di guadagno/perdita teorica conseguente ai posizionamenti indicati e si azzera alla fine di ciascun anno; C) Tutti i reports sono inviati per mail; D) Il pagamento dei reports è anticipato e il costo è in funzione del numero di reports richiesto; E) Il servizio di inoltro dei reports si attiva non appena abbiamo ricevuto la conferma del pagamento; F) Il recesso dal servizio deve essere effettuato tramite l’inoltro di una mail di richiesta. Due sono le famiglie di reports offerte: gli ALERT REPORTS e gli STRATEGY REPORTS. ALERT REPORTS 1) Italian Stock Monitor: Siete interessati a seguire l'andamento di un'azione italiana? Questo report Vi permette di ricevere aggiornamenti, a Vostra scelta, su una o più azioni del listino italiano. Troverete contenuti di analisi tecnica e fondamentale sulle azioni di cui volete avere informazioni ed analisi aggiornate. Potrete personalizzare la Vostra richiesta nell'ambito delle azioni quotate presso la Borsa italiana. 2) Forex Report: Si tratta di un report di analisi tecnica e macroeconomica che fa il punto della situazione sui principali cambi (Euro Dollaro, Euro Yen ed Euro Sterlina); di sicuro aiuto per le aziende che hanno necessità di gestire il rischio cambio e vogliono un punto di riferimento affidabile per decidere cosa fare quando si ricevono flussi o si devono effettuare pagamenti in valuta. Costi: 8 euro a report singolarmente; per sottoscrizioni di 25 ALERT REPORTS (durata del servizio di circa 6 mesi) il prezzo scende a 6 euro per ogni report. E’ previsto l’inoltro di 2 reports gratuiti in sede di prima sottoscrizione del servizio. Cadenza: fino a 50 reports all’anno. STRATEGY REPORTS 1) Asset Allocation Report: Si tratta di un report di strategia ed asset allocation di medio lungo termine rivolto a investitori privati ed istituzionali; contiene tematiche di macroeconomia, analisi fondamentale ed analisi tecnica sui mercati azionari, obbligazionari, delle materie prime e valutari che aiutano l'investitore a fare scelte di investimento in modo più consapevole, informato e razionale. Costo: 30 euro una Asset Allocation Letter Per sottoscrizioni di almeno 6 report (durata del servizio di circa 6-8 mesi) il prezzo è di 25 euro a report. E’ previsto l’inoltro di 1 report gratuito in sede di prima sottoscrizione del servizio. Cadenza: Da 4 a 12 reports all’anno. Per ulteriori informazioni sull'offerta formativa dei diversi corsi, sul programma di ogni corso attivato e sui contenuti dei vari reports, sui costi e sulle modalità di fruizione di queste due tipologie di servizi, potete inviare una mail di richiesta al seguente indirizzo: finanzamonitor@yahoo.it

Sunday, January 24, 2010

Il dibattito sul nuovo assetto delle istituzioni finanziarie: il parere di Financial Markets LAB

Il dibattito sui nuovi assetti dell'economia e delle istituzioni finanziarie è in corso; pubblichiamo un'interessante voce fuori dal coro del blog Financial Markets LAB.

Quando leggo certi articoli rimango, sinceramente molto perplesso. Mi riferisco a quello pubblicato su Il Sole 24 Ore di venerdì 22 gennaio a pagina 12, di Donato Masciandaro. L’articolo, intitolato “Giù le mani dalle banche centrali”, è una difesa a spada tratta, riguardo l’autonomia delle banche centrali, alla luce della crisi vissuta dall’economia globale. In apparenza, la causa dell’indipendenza e dell’autonomia appare sacrosanta, tuttavia mi preme fare alcune considerazioni, entrando in punta di piedi nel dibattito in corso, riguardo il ruolo che dovranno giocare le banche centrali in futuro. L’articolo evidenzia la differenza tra banca centrale monetarista, che si pone come unico obiettivo quello della stabilità dei prezzi e banca centrale di stampo keynesiano, che tende ad avere responsabilità anche nell’ambito della vigilanza.
Masciandaro scrive:”Finora infatti le banche centrali monetariste hanno ben perseguito il loro obiettivo primario: il controllo dell’inflazione, soprattutto nelle economie sviluppate. In secondo luogo, le banche centrali monetariste, almeno finora, hanno tutelato meglio anche la stabilità monetaria”.
Masciandaro prosegue ancora:”Dunque, dopo la lezione della crisi, la ricetta dovrebbe essere: mantenere le banche centrali indipendenti nella gestione della politica monetaria, evitando che si occupino anche della vigilanza”.
In altre parole, l’autore sarebbe per una banca centrale di stampo monetarista che mantenga la propria indipendenza. Ebbene, questa soluzione significherebbe non avere imparato nulla dalla più grave crisi economica vissuta finora dalle economie occidentali. Il vero problema, a mio avviso, non è lo scegliere tra l’impostazione monetarista o quella keynesiana ma piuttosto quello di riconoscere, innanzitutto, che gli obiettivi di stabilità dei prezzi e monetaria, nel corso degli ultimi anni, non sono stati pienamente raggiunti. Le ragioni di questo parziale fallimento sono legate, in parte, ad effettivi casi di incapacità di alcuni banchieri centrali e, in larga misura, alla manifesta impossibilità di prevedere l’andamento futuro delle principali variabili macroeconomiche. Come si fanno ad utilizzare strumenti di politica monetaria in modo efficace quando le decisioni si basano su variabili macroeconomiche difficili da prevedere?! Un banale esempio? Negli Usa vengono fornite a distanza di tempo 3 stime del Pil che cambiano anche molto l’una dall’altra.
Tornando ai risultati ottenuti dalle banche centrali, cito un solo esempio: la situazione di deflazione in cui versa da molti anni il Giappone ed in cui potrebbero cadere altre economie, come quella statunitense, qualora la Federal Reserve sbagli nel giocare la carta della exit strategy. In effetti, tenendo conto delle distorsioni nelle misurazioni standard dei prezzi a livello aggregato, la frequenza trimestrale di una “deflazione effettiva” è aumentata sensibilmente negli ultimi anni (si veda la tabella seguente). La recente esperienza giapponese e quella della Grande Depressione mostrano con chiarezza come un contesto apparentemente favorevole di bassa inflazione possa cedere il posto a una deflazione dirompente. La tabella qui in basso mostra in percentuale il numero di trimestri in cui i diversi Paesi esaminati hanno sperimentato livelli di crescita dei prezzi sotto 1%.

Inoltre, l’uso indiscriminato della leva monetaria è stata una delle principali cause dell’instabilità e delle bolle finanziarie susseguitesi una di seguito all’altra: dalla bolla tecnologica degli anni duemila a quella dei mutui subprime e del mercato immobiliare Americano del 2007, con conseguenze pesanti sull’economia reale e sull’andamento dei mercati finanziari. A che prezzo quindi, le banche centrali hanno perseguito, senza raggiungerli pienamente, i loro obiettivi di controllo dell’inflazione e di stabilità monetaria?! Qual’è stato il costo sociale delle politiche monetarie adottate dalle banche centrali?!
Masciandaro sostiene poi che “le banche centrali monetariste, almeno finora, hanno tutelato meglio anche la stabilità monetaria.”
Non entro nel merito della scelta tra banca centrale monetarista e keynesiana; se per stabilità monetaria l’autore intende il contenimento delle oscillazioni dei cambi, sinceramente non mi risulta che l’obiettivo sia stato raggiunto; cito un solo esempio: il dollar index, indice paniere delle principali valute contro il dollaro americano solo negli ultimi due anni è andato da 72 a 88 e poi è tornato a 74; un range di escursione di oltre il 20%. Questa si chiama stabilità monetaria?! La stabilità monetaria non è perseguibile in un regime di cambi flessibili, in un contesto cioè dove il rapporto di cambio si muove, si aggiusta (anzi si deve aggiustare!) in funzione delle aspettative degli investitori, fungendo proprio da meccanismo riequilibratore. Ebbene, non esiste nessuna banca centrale al mondo in grado di mantenere fermo o stabile il proprio tasso di cambio. Ricordo ad esempio negli anni passati gli sforzi, completamente inutili, perseguiti da Bank of Japan per stabilizzare lo Yen. Proprio in questa fase gli Usa hanno bisogno di un dollaro debole per mitigare i disequilibri esistenti.
Tornando alle politiche monetarie, effettivamente, negli ultimi decenni del Novecento, pressoché in tutti i Paesi occidentali, ci si è orientati a considerare cruciale il controllo del tasso di inflazione. Alle banche centrali è stato affidato il compito di perseguire la stabilità dei prezzi.Si è affermata la consapevolezza che l'inflazione comporta costi elevati agli operatori economici perché altera il valore segnaletico dei prezzi relativi nell’allocazione delle risorse. Secondo questa logica quindi la banca centrale deve porsi come obiettivo la determinazione di un tasso ottimale di inflazione che sia stabile nel tempo. In effetti, i motivi che depongono a favore della stabilità monetaria, e quindi per una politica monetaria che si ponga l’obiettivo di stabilizzare il tasso di inflazione su un valore prossimo a zero, sono molteplici. Ad esempio, la combinazione di inflazione e sistemi tributari non perfettamente indicizzati può generare distorsioni fiscali (il cosiddetto fiscal drag). Un tasso d’inflazione instabile poi, può dar luogo a fenomeni di illusione monetaria che induce gli operatori a adottare decisioni non corrette. Inoltre, se l’inflazione è di per sé un fenomeno negativo l’obiettivo della stabilità monetaria ha il pregio di essere semplice e credibile per le autorità monetarie che s’impegnano a conseguirlo.
Tuttavia, affinché le politiche monetarie anti-inflazionistiche non siano socialmente costose è necessario che si verifichino tre importanti condizioni:
a) il mercato del lavoro deve trovarsi continuamente in equilibrio (non devono quindi esistere contratti di lavoro multiperiodali);b) le aspettative non devono essere di tipo adattivo; nel caso di aspettative adattive che tendono, quindi, a modificarsi lentamente, se la banca centrale adotta una politica restrittiva, che consente di eliminare l'inflazione, ciò avverrà al prezzo di un aumento del tasso di disoccupazione nel breve periodo perchè le aspettative circa il tasso d’inflazione prevalente nel periodo successivo saranno riviste gradualmente, quindi anche i salari monetari si adegueranno con ritardo, per cui si avrà un aumento temporaneo del tasso di disoccupazione oltre il suo livello naturale.
c) le politiche monetarie annunciate devono essere credibili; se la banca centrale gode di un'elevata reputazione, non solo la soluzione non-inflazionistica risulta più facilmente raggiungibile, ma l'efficacia della politica monetaria è accresciuta, perché i segnali lanciati dalle autorità monetarie risultano credibili.

Ho seri dubbi circa la possibilità che queste tre condizioni sussistano o siano esistite simultaneamente nei periodi passati. Da qui traggo una prima importante conclusione ribadendo un concetto già espresso: la questione cruciale non è la scelta tra banche monetariste o keynesiane; la questione è: poiché le banche centrali non sono in grado di perseguire pienamente l’obiettivo di controllo dell’inflazione, anzi con le loro politiche monetarie hanno alimentato i problemi del sistema, mai come ora, dopo “la madre di tutte le crisi economiche” è necessario cogliere l’occasione per ridefinirne il loro ruolo assegnandogli obiettivi effettivamente raggiungibili e volti a creare benessere e crescita economica sostenibile. Abbiamo davanti a noi una grande possibilità: quella di definire un nuovo paradigma e di ridisegnare le regole del sistema economico.
Ben vengano a questo proposito le visioni illuminate di grandi economisti come Partha Dasgupta che, ad esempio, mettono in discussione l’abc dell’economia: le modalità di calcolo del Pil di un Paese!
La questione dell’indipendenza di cui parla Masciandaro poi, è un altro nodo da chiarire.
E’ vero, l’indipendenza della banca centrale è stata introdotta in molti Paesi, con un obiettivo ben chiaro e facile da misurare: combattere l’inflazione. Tuttavia molti autori evidenziano come i risultati ottenuti contro l’inflazione dipendano non tanto dall’indipendenza in se ma da quanto le istituzioni del Paese sono forti; l’evidenza empirica mostra come i risultati contro l’inflazione sembrano scarsi o del tutto assenti nei Paesi con istituzioni politiche troppo forti oppure deboli. Viceversa, l’effetto sull’inflazione è più forte nei Paesi con istituzioni di forza intermedia.
Pertanto, se da un lato l’indipendenza è un concetto condivisibile, dall’altro la definizione dell’indipendenza di una banca centrale non può prescindere da un’attenta analisi della qualità delle istituzioni del Paese a cui appartiene.Dunque, bisogna ridefinire il ruolo e le responsabilità delle banche centrali alla luce dei limiti che le loro politiche, a volte dissennate, hanno mostrato avere in questi anni, modulandone l’indipendenza in funzione dei Paesi a cui appartengono.

Financial Markets LAB (http://www.financialmarketslab.blogspot.com/)

Saturday, January 16, 2010

Pubblichiamo la seconda parte di un interessante articolo scritto dal Blog Financial Markets LAB e tratto dalla Financial Markets LAB Newsletter.

Financial Markets LAB Newsletter – gennaio 2010 – N°2 Opportunità di investimento nel 2010: tra rischi ed opportunità – II° PARTE
Nello scorso report abbiamo parlato di rischi: sul versante della sostenibilità di una crescita economica drogata dalla creazione di carta in eccesso, a causa dell’immane debito dei Paesi Occidentali e delle exit strategy che le Banche Centrali dovranno, prima o poi, intraprendere. L’elenco dei rischi non è esaurito, ma prima voglio ripartire esattamente da dove ci eravamo lasciati: dal decennio perduto delle Borse e dell’economia. Chi avesse investito 100 euro nell’indice europeo all’inizio del 2000, oggi ne avrebbe circa 87, dividendi inclusi. Le analogie con il periodo 1968-1982 ci sono;anche allora lo sboom iniziò dopo uno straordinario periodo di crescita iniziato con la ricostruzione dopo la fine della seconda guerra mondiale; negli anni novanta, invece, la crescita fu trainata dall’innovazione tecnologica (internet) e da una produttività stellare. Ma la crescita non dura all’infinito, in particolare, se si producono beni e servizi in eccesso rispetto a quanto la domanda può assorbire.
E’ impressionante vedere i rendimenti decennali total return(comprensivi, cioè, non solo della rivalutazione dei corsi azionari ma anche della distribuzione dei dividendi) dell’indice S&P500 della Borsa Americana dagli anni ’30 ad oggi; dal grafico a barrequi sopra risulta anche evidente come gli anni ’50, ’80 e ’90 siano stati eccezionali dal punto di vista dei rendimenti e che passeranno alcuni lustri prima di rivederli. Più realistico dunque ipotizzare per le azioni rendimenti non stellari del 5%-7% all’anno per il decennio che abbiamo davanti, a meno che la storia non ci riservi sorprese dal punto di vista dell’innovazione tecnologica (auto ad idrogeno, energie alternative, etc).Parlare dell’occupazione, poi, è come sparare sulla croce rossa; guardate il grafico seguente che mostra quanta occupazione è stata creata nel decennio appena trascorso. Non era mai successo, dagli anni ‘40 ad oggi, di vedere una così bassa creazione di posti di lavoro!


Torniamo ai rischi, partendo proprio dall’occupazione; in realtà, dell’occupazione abbiamo già parlato nelle scorse Financial Markets LAB Newsletter e nei vari post sul Blog; quindi non ha senso dilungarsi oltre; ribadisco solo che nel corso del 2010l’occupazione rimarrà asfittica con tendenza al peggioramento e, nella migliore delle ipotesi, potrà tendere a stabilizzarsi sui livelli raggiunti nel 2009; gli eventuali segni di miglioramento deriveranno solamente da aiuti statali e non saranno legati a scenari di crescita sostenibile. Come può migliorare l’occupazionese grandi settori come quello immobiliare o automobilistico Americano, stanno lottando con problemi di sovra capacità produttiva?! Come ho già detto, vedo solo una via d’uscita: l’innovazione tecnologica.Ovviamente, problemi sul versante occupazionale si ripercuotono dal lato dei consumi (circa due terzi del Pil Usa una volta era costituito dai consumi degli Americani) e della fiducia delle famiglie.Nel sistema finanziario i problemi non sono ancora del tutto risolti; aspettiamoci nuovi fallimenti di banche nel corso di questo anno e le istituzioni creditizie che non falliranno soffriranno ancora pesantemente (mi riferisco in particolare allebanche anglosassoni; quelle italiane sono un’altra storia, per fortuna); un esempio?Citigroup è esposta per centinaia di miliardi di dollari nel settore real estate; non credo che il settore immobiliare Usa risorgerà questo anno; anzi, penso che il rimbalzoin atto sarà di breve durata (vedi indicatori tipo l’S&P-Case Shiller Index); nei prossimi anni (2010-2012) una marea di mutui dovranno essere rinegoziati negli Stati Uniti; in altre parole, gente che aveva acceso mutui ARMs negli scorsi anni a condizionivantaggiose saranno costrette, a causa del vincolo contrattuale, a rivedere (in peggio!!) le condizioni dei loro mutui; gli ARMs sono dei mutui dove c’è un’opzione, una clausola, che permette al mutuatario di pagare un interesse molto basso per i primianni di vita del mutuo, successivamente l’interesse viene ricalcolato con dei parametri molto peggiorativi. Difatti da qui il prefisso ARMS = option adjustable-rate mortgages.E come commentare la recente affermazione di Geithner (Segretario del Tesoro Americano)?!:“We're not going to have.... a second wave of financial crisis..... We'll do what is necessary to prevent that.......and that is completely within our capacity to prevent."
Mi viene da dire una sola parola: FANTASTICO!!!
L’affermazione del Segretario del Tesoro Usa è un’ammissione implicita che le autorità Statunitensi si attendono una “second wave” magari proprio legata ai mutui ARMs o alla marea di strumenti derivati ancora annidati nei bilanci delle banche (chedall’inizio della crisi ad oggi sono aumentati!!). Io la interpreto proprio così, come una confessione!Sempre nella stessa recente intervista Geithner sentenziava:"We were in a very deep hole and it is going to take a long time to repair the damage done to confidence."Ebbene, personalmente sono davvero molto preoccupato riguardo la concreta possibilità di una seconda ondata di crisi finanziaria perché, in questo secondo round, le Autorità avrebbero meno armi a disposizione per fronteggiarla, visto che, come hogià scritto, gli Usa hanno già emesso più passività di una “Repubblica delle banane”. Un altro segnale preoccupante è legato alle recenti affermazioni riguardo la decisione delTesoro Usa, annunciata il 24 dicembre scorso, di fornire un sostegno finanziario illimitato a Fannie Mae e Freddie Mac, le due agenzie semigovernative che forniscono mutui a tasso agevolato negli Usa (finora le due agenzie hanno ricevuto qualcosa come60 e 51 miliardi di dollari di aiuti); questa notizia, assolutamente pessima dal punto di vista etico (il Tesoro Usa sta dicendo all’americano medio: “accendi pure un mutuo, poi anche se non sei in grado di ripagarlo, intervengo io, con i soldi ditutti i contribuenti per ripianare le perdite!! Come faccio?! Faccio stampare cartamoneta dalla Federal Reserve e ricompro i titoli spazzatura che sono nell’attivo di Fannie & Freddie, semplice no?!”) potrebbe essere la punta di un iceberg di problemi legati al mercato immobiliare e, probabilmente, il TesoroAmericano vuole giocare d’anticipo.Tra le possibili soluzioni alla crisi, oltre alla più volte citata innovazione tecnologica avrei potuto inserire un’altra importante variabile: il sostegno allo sviluppo mondiale delle grandi economie emergenti (oramai emergenti neanche più di tanto!): Cina e Indiain testa. Ma come è successo nei passati “inverni di Kondratieff” (vedi grafico) durante le crisi si alzano steccati e barriere; paradossalmente “le economie si arroccano dentro castelli medievali” per difendersi e fronteggiare dure guerre commerciali.Torniamo ai rischi, partendo proprio dall’occupazione; in realtà, dell’occupazione abbiamo già parlato nelle scorse Financial Markets LAB Newsletter e nei vari post sul Blog; quindi non ha senso dilungarsi oltre; ribadisco solo che nel corso del 2010l’occupazione rimarrà asfittica con tendenza al peggioramento e, nella migliore delle ipotesi, potrà tendere a stabilizzarsi sui livelli raggiunti nel 2009; gli eventuali segni di miglioramento deriveranno solamente da aiuti statali e non saranno legati a scenari di crescita sostenibile. Come può migliorare l’occupazionese grandi settori come quello immobiliare o automobilistico Americano, stanno lottando con problemi di sovra capacità produttiva?! Come ho già detto, vedo solo una via d’uscita: l’innovazione tecnologica.Ovviamente, problemi sul versante occupazionale si ripercuotono dal lato dei consumi (circa due terzi del Pil Usa una volta era costituito dai consumi degli Americani) e della fiducia delle famiglie.Nel sistema finanziario i problemi non sono ancora del tutto risolti; aspettiamoci nuovi fallimenti di banche nel corso di questo anno e le istituzioni creditizie che non falliranno soffriranno ancora pesantemente (mi riferisco in particolare allebanche anglosassoni; quelle italiane sono un’altra storia, per fortuna); un esempio?Citigroup è esposta per centinaia di miliardi di dollari nel settore real estate; non credo che il settore immobiliare Usa risorgerà questo anno; anzi, penso che il rimbalzoin atto sarà di breve durata (vedi indicatori tipo l’S&P-Case Shiller Index); nei prossimi anni (2010-2012) una marea di mutui dovranno essere rinegoziati negli Stati Uniti; in altre parole, gente che aveva acceso mutui ARMs negli scorsi anni a condizionivantaggiose saranno costrette, a causa del vincolo contrattuale, a rivedere (in peggio!!) le condizioni dei loro mutui; gli ARMs sono dei mutui dove c’è un’opzione, una clausola, che permette al mutuatario di pagare un interesse molto basso per i primianni di vita del mutuo, successivamente l’interesse viene ricalcolato con dei parametri molto peggiorativi. Difatti da qui il prefisso ARMS = option adjustable-rate mortgages.E come commentare la recente affermazione di Geithner (Segretario del Tesoro Americano)?!:“We're not going to have.... a second wave of financial crisis..... We'll do what is necessary to prevent that.......and that is completely within our capacity to prevent."Mi viene da dire una sola parola: FANTASTICO!!!L’affermazione del Segretario del Tesoro Usa è un’ammissione implicita che le autorità Statunitensi si attendono una “second wave” magari proprio legata ai mutui ARMs o alla marea di strumenti derivati ancora annidati nei bilanci delle banche (chedall’inizio della crisi ad oggi sono aumentati!!). Io la interpreto proprio così, come una confessione!Sempre nella stessa recente intervista Geithner sentenziava:"We were in a very deep hole and it is going to take a long time to repair the damage done to confidence."Ebbene, personalmente sono davvero molto preoccupato riguardo la concreta possibilità di una seconda ondata di crisi finanziaria perché, in questo secondo round, le Autorità avrebbero meno armi a disposizione per fronteggiarla, visto che, come hogià scritto, gli Usa hanno già emesso più passività di una “Repubblica delle banane”. Un altro segnale preoccupante è legato alle recenti affermazioni riguardo la decisione delTesoro Usa, annunciata il 24 dicembre scorso, di fornire un sostegno finanziario illimitato a Fannie Mae e Freddie Mac, le due agenzie semigovernative che forniscono mutui a tasso agevolato negli Usa (finora le due agenzie hanno ricevuto qualcosa come60 e 51 miliardi di dollari di aiuti); questa notizia, assolutamente pessima dal punto di vista etico (il Tesoro Usa sta dicendo all’americano medio: “accendi pure un mutuo, poi anche se non sei in grado di ripagarlo, intervengo io, con i soldi ditutti i contribuenti per ripianare le perdite!! Come faccio?! Faccio stampare cartamoneta dalla Federal Reserve e ricompro i titoli spazzatura che sono nell’attivo di Fannie & Freddie, semplice no?!”) potrebbe essere la punta di un iceberg di problemi legati al mercato immobiliare e, probabilmente, il TesoroAmericano vuole giocare d’anticipo.Tra le possibili soluzioni alla crisi, oltre alla più volte citata innovazione tecnologica avrei potuto inserire un’altra importante variabile: il sostegno allo sviluppo mondiale delle grandi economie emergenti (oramai emergenti neanche più di tanto!): Cina e Indiain testa. Ma come è successo nei passati “inverni di Kondratieff” (vedi grafico) durante le crisi si alzano steccati e barriere; paradossalmente “le economie si arroccano dentro castelli medievali” per difendersi e fronteggiare dure guerre commerciali.


Come ha più volte sottolineato Paul Krugman, la Cina è una grande potenza finanziaria e commerciale che però non si muove in coordinamento con le altre grandi economie. L’esempio più eclatante di questa affermazione è lo yuan fermo per legge al valore di6.8 rispetto al dollaro. L’International Trade Commission ha deciso di rispondere con l’utilizzo dei dazi; proprio gli Usa (tra l’altro, dopo che Obama si è recato in Cina poche settimane fa a sostenere la causa Americana) applicheranno dazi dal 10% al16% sui tubi d’acciaio made in Cina. Usa ed Unione Europea hanno più volte spinto la Cina a rivalutare la propria moneta; proprio alcuni giorni fa il governo cinese ha risposto freddamente che ogni decisione verrà presa secondo i tempi e i modi ritenuti più opportuni. Tra Usa e Cina ci sono in ballo qualcosa come 400 miliardi (dollaro più dollaro meno) di scambi commerciali e, al momento, risulta difficile capire come andrà a finire.Il quadro che ho dipinto è a tinte fosche lo so, anche se qualche opportunità di investimento, come abbiamo visto anche nella I° PARTE non mancherà; l’elenco dei rischi non finirebbe qui; ho voluto evidenziarvi quelli più eclatanti. Concludo questonumero della Financial Markets LAB Newsletter segnalandovi che qualcuno che sta meglio nel mondo e gode di buona salute c’è: le economie dei mercati emergenti ovvero proprio Cina, India, Russia e Brasile in testa. Ho questa convinzione: ritengo che i mercati azionari di queste economie siano da accumulare sulle debolezze vista la forza delle loro economie, che cresceranno a ritmi compresi tra il 5% ed il 10% contro le asfittiche crescite del 2%-3%dei G-10. Vi segnalo infine una frase di V. Lenin (non sono certamente un ammiratore del suo pensiero politico-economico, ma l’affermazione, se riferita all’operato degli Usa degliultimi due anni e mezzo, è molto attuale!):“The best way to destroy the capitalist system is to debauch the currency.”Per il momento è tutto. Passo e chiudo.

Financial Markets LAB (http://www.financialmarketslab.blogspot.com/)

Monday, January 4, 2010

Pubblichiamo un interessante articolo sulle prospettive di investimento per il 2010, scritto dal Blog Financial Markets LAB. (http://www.financialmarketslab.blogspot.com/)


Opportunità di investimento nel 2010: tra rischi ed opportunità – I° PARTE
Ecco il primo report dell’anno nuovo; abbiamo stappato da poco lo spumante, brindato al nuovo anno, fatto gli auguri ai nostri cari augurando loro tutto il meglio possibile ma ora torniamo a parlare di economia, finanza e di prospettive future. Idealizzando una bilancia e mettendo su ciascuno dei due piatti le possibili opportunità e i potenziali
rischi, l’ago pare pendere drasticamente a favore dei secondi, rendendo difficile qualsiasi esercizio di sfrenato ottimismo per l’anno appena incominciato. Tuttavia, pur tra molteplici rischi, paiono anche prospettarsi delle opportunità di investimento. Non avrò il tempo e lo spazio per approfondire tutti i temi che toccherò in questo numero della Financial Markets LAB Newsletter; lo farò nel corso del 2010 attraverso i post
che scriverò nei prossimi mesi sul Blog(http://www.financialmarketslab.blogspot.com/). In questa sede (e nella prossima Newsletter) toccherò in rapida successione le principali questioni sotto i riflettori; argomenti di sicuro interesse per il risparmiatore italiano,
sempre impegnato a difendere i propri risparmi e a cercare qualche opportunità di guadagno.
Faccio qualche considerazione su quanto è avvenuto nell’anno appena trascorso, anche se tutti i lettori più fedeli, sanno, in larga misura, cosa penso; le Borse e i temi a spread (titoli obbligazionari corporate e high yield), dopo i minimi fatti toccare a marzo 2009, hanno innescato un grandioso recupero confortati dalle politiche monetarie e fiscali messe in atto dai Governi Occidentali. La leva monetaria, in particolare, è stata sfruttata come mai era stato fatto prima. L’inondazione di carta
avutasi nel corso degli ultimi mesi è stata impressionante; non voglio discutere in questa sede se i Banchieri Centrali hanno svolto o no un buon lavoro; non sta a me giudicarli; voglio solo valutare i fatti che mi si parano davanti e ragionare sulle conseguenze di certe scelte. Il crollo del sistema finanziario mondiale sembra sia stato evitato, ma a quale prezzo?! Questa recessione non ha avuto solo un’impronta finanziaria; è stata una crisi del sistema economico Occidentale e della sua impostazione, poco incline a favorire principi etici in ambito economico, e, in particolare, di sovra capacità produttiva, alimentata dall’uso eccessivo dell’indebitamento a livello privato, pubblico e nei confronti dei partners commerciali
delle economie emergenti; inoltre, la crisi che stiamo ancora vivendo non è iniziata nel 2007 con lo scoppio del problema dei mutui subprime; è iniziata prima, con lo scoppio della bolla tecnologica nel 2000. Ora il malato sembra essere in convalescenza e non faccio fatica a pensare che questa possa essere ancora lunga e irta di difficoltà. Ora cosa ci attende? Innanzitutto, stando alle stime, la recessione Statunitense dovrebbe
essere finita (almeno “tecnicamente”) tra giugno e agosto del 2009 (ma il National Bureau of Economic Research Americano ce lo dirà ufficialmente tra qualche mese!!).
Effettivamente, qualche segnale di ripresa lo abbiamo visto nel corso degli ultimi tempi: rimbalzo degli indicatori anticipatori della congiuntura economica, qualche segnale di stabilizzazione del mercato immobiliare Usa, segnali di rallentamento della disoccupazione, etc.
Tuttavia questi segnali non sono sufficienti per farci ipotizzare una ripresa del ciclo economico sana, virtuosa e duratura perchè il sistema, in questo
momento, è drogato da un eccesso di liquidità. Questa liquidità, se da un lato ha contribuito ad evitare il tracollo dell’economia globale (bisogna riconoscerlo) dall’altro creerà altri problemi nel medio-lungo periodo.
Nel corso del 2010, inoltre, paiono profilarsi una serie di fattori che sembrano fungere da potenziali destabilizzatori del sistema economico finanziario mondiale.
Iniziamo dalla crescita economica: molte autorevoli fonti ipotizzano che il picco degli effetti “espansivi” delle politiche fiscali Usa lo si vedrà tra il 4° trimestre del 2009 ed il primo trimestre del 2010 (anche in questo caso, lo vedremo in modo ufficiale tra qualche mese quando valuteremo i dati effettivi e non le stime). Questo significa che nuovi sforzi dovranno essere messi in atto, soprattutto sul versante delle politiche fiscali e delle riforme strutturali, per evitare che la convalescenza in atto non si tramuti in una ricaduta del malato. Ma nuovi provvedimenti fiscali contribuiranno ad
aumentare le voragini di debito che i principali Paesi Occidentali hanno accumulato nel corso degli ultimi anni. Proprio la dimensione del debito accumulato rappresenta una delle principali minacce del 2010. Se parlo di debito di uno Stato devo valutare innanzitutto la sua sostenibilità. Prendiamo come esempio gli Usa; nel 2009 la Banca Centrale Americana ha assorbito in acquisto parecchie centinaia di miliardi di dollari di titoli di Stato Usa (non ricordo la cifra precisa…); dopo questi acquisti, sono rimasti 200 miliardi di dollari (dollaro più dollaro meno) che sono stati facilmente collocati sul mercato (anche grazie all’eccesso di liquidità creato dalla
Federal Reserve stessa, che ha fatto si che le banche Statunitensi comprassero titoli di Stato nazionali con i soldi prestati dalla Banca Centrale, piuttosto che immetterli nel sistema economico finanziando imprese e privati!). Orbene, nel 2010 l’offerta di carta sarà, più o meno, di 2200 miliardi di dollari a fronte di disponibilità di assorbimento di circa 200 miliardi da parte della Federal Reserve; chi assorbirà gli altri 2000 miliardi? I Paesi Occidentali indebitati sino al collo? La Cina, che nei giorni
scorsi ha già detto che limiterà i suoi acquisti di Treasuries? A peggiorare
l’appetibilità ci sono anche i bassi rendimenti di mercato che questi titoli hanno al momento e la debolezza intrinseca del dollaro Americano; quale è la via d’uscita? Ancora una volta la Federal Reserve si troverà costretta a stampare moneta e a far svalutare il biglietto verde!! In altre parole, più carta viene immessa nel sistema, tanto più il sistema necessita di carta. Mi permetto di osservare che, forse, invece di ricorrere ad un eccessivo uso “dell’elicottero Ben” per annacquare il sistema, gli Stati (Usa in testa) avrebbero potuto cogliere l’occasione per attuare drastiche riforme
strutturali salvando il salvabile e facendo fallire le società e le banche meno virtuose. Il discorso richiede spazio, tempo e considerazioni sull’efficacia delle politiche monetarie che magari farò nel Blog; cominciamo piuttosto col vedere quali possono essere le conseguenze e le opportunità per chi deve fare scelte di investimento nel corso del 2010.
Ne elenco SOLO alcune….
1) Non considerare più tutti i titoli di Stato come totalmente esenti da
rischi; sarà importante acquistare solo titoli di Stati virtuosi o meno
indebitati;
2) I titoli corporate e high yield possono ancora riservare qualche
soddisfazione e rappresentare una buona alternativa ma vanno
opportunamente selezionati; anzi, questo anno i criteri di selezione (di tipo
fondamentale e legati all’analisi di ciascuna società) dovranno essere ancora più stringenti;
3) Essere estremamente prudenti sulle attività denominate in dollari
Americani; il biglietto verde è strutturalmente debole;
4) Diversificare il proprio patrimonio con metalli preziosi (oro, argento e
platino) e con materie prime in generale (in particolare quelle del settore
Agricolo);
5) L’inflazione non dovrebbe essere un problema nell’immediato, viste le
predominanti spinte deflazionistiche, tuttavia potrebbe diventarlo verso la
fine del 2010 e molto probabilmente nei prossimi anni (un altro dei prezzi
da pagare per aver scongiurato il tracollo con l’uso della politica
monetaria), visto che l’enorme quantitativo di liquidità immesso nel sistema, prima o poi, farà manifestare lo spettro dell’inflazione; in tal senso, in un portafoglio ben diversificato dovrebbero trovare spazio i titoli indicizzati all’inflazione, con l’obiettivo di aumentarne il peso, laddove nel corso del 2010 si comincino ad evidenziare i rigurgiti dell’inflazione.
Torniamo ai rischi.
Un altro rischio potenziale con cui, temo, dovremo confrontarci sarà legato a come le Banche Centrali gestiranno le Exit strategy; la Federal Reserve si rende conto di quanta liquidità ha messo sul “tavolo dei mercati finanziari” ed è a conoscenza dei rischi insiti in questo eccesso di carta: inflazione a lungo termine e nascita di nuove bolle finanziarie. Ma allo stesso tempo, alzare i tassi prematuramente significherebbe strozzare la timida ripresa in atto, alzare il costo del debito e far restringere (con un bear flattening) lo spread tra tassi a breve e tassi a lungo, a danno dei bilanci delle banche, ancora in evidente difficoltà. Dal mio punto di vista, valutando lo stato di convalescenza del malato e in considerazione con quanto finora
detto sulle voragini dei debiti pubblici, i tassi dovrebbero rimanere sui livelli attuali almeno per tutto il 2010; l’attuale consensus dei mercati finanziari depone per un rialzo dei tassi nel terzo trimestre dell’anno; a mio avviso, il rischio è che la Fed “giochi male la propria carta” e sia spinta ad agire o troppo presto o in ritardo. Nel primo caso si strozzerà la neonata crescita, nel secondo avremo una crescita sempre sotto il potenziale con un’inflazione galoppante. I miei lettori sanno che non ho una
grande opinione dei monetaristi e del ricorso eccessivo a strumenti di politica monetaria; e una delle ragioni è legata proprio alla difficoltà di modulare con il giusto timing l’espansione e la restrizione di moneta. Tra l’altro, anche Friedman, padre del monetarismo, espresse dei dubbi sull'efficacia del monetarismo stesso:
"The use of quantity of money as a target has not been a success…..I'm not sure I would as of today push it as hard as I once did. ...”
Ovvero, l'uso della quantità di moneta come obiettivo non è stato un successo.
E per Noi investitori?! Aspettative di rialzo dei tassi non fanno bene alle Borse ed ai tassi a lungo termine (non controllabili dalle Banche Centrali); anche per questo continuo a pensare che nel 2010 le Piazze azionarie non abbiano le potenzialità rialziste che abbiamo visto nell’anno appena finito quando è partito il poderoso rimbalzo dai minimi di marzo. Non credo che lo S&P500 possa andare sopra l’area 1250-1300 stabilmente; come ho già segnalato, per il momento il bull market è lì e le tendenze dei principali indici azionari sono rialziste; a livello di valutazioni fondamentali invece, vedo qualche segnale di eccesso: ad esempio un mercato
azionario Usa leggermente sopravvalutato già a questi livelli (S&P500 attualmente in area 1120). Il target 1250-1300 per lo S&P500, desumibile dall’analisi tecnica, potrebbe essere raggiunto senza correzioni significative dai livelli attuali o dopo l’avvio di una fase di prese di beneficio; in ogni caso 1250-1300, al momento rappresenta il mio target finale per il Bull market Ciclico in corso.
Già, Bull Market Ciclico…..Non Secolare…..Si perché, come ho già sostenuto in molte occasioni, siamo ancora dentro un Bear Market Secolare, cioè una lunga fase ribassista cominciata nel 2000.
2000-2009: dieci anni persi sotto il profilo economico in termini di crescita e creazione di occupazione; dieci anni persi sotto il profilo dei rendimenti azionari.
Per il momento mi fermo qui; nella prossima Financial Markets LAB Newsletter
completeremo lo scenario. Restate sintonizzati. FINE PRIMA PARTE

Articolo tratto dalla Financial Markets LAB Newsletter pubblicata dal Blog
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