FINANZA MONITOR

CORSI DI FORMAZIONE E REPORTS DI ANALISI E RICERCA INDIPENDENTE IN AMBITO FINANZIARIO ED ECONOMICO

IL SERVIZIO DI FORMAZIONE IN AMBITO FINANZIARIO ED ECONOMICO L’offerta formativa in campo finanziario ed economico di FINANZA MONITOR è suddivisa in 5 aree: 1) Area Analisi Finanziaria e Macroeconomica 2) Area Tecniche di gestione del portafoglio 3) Area Trading on line e Tecniche di trading 4) Area Divulgazione e Cultura finanziaria 5) Area Strumenti finanziari Per ciascuna di queste aree ogni singolo corso ha durata e contenuti adattabili alle effettive esigenze di formazione del cliente; indicativamente ciascun momento formativo può avere una durata da una a tre giornate, a seconda della tipologia e del grado di approfondimento del corso. Per ogni momento formativo proposto viene fornito il materiale ed i riferimenti bibliografici per ulteriori momenti di approfondimento. E' possibile avere un dettagliato programma sui contenuti, il materiale fornito, le finalità che esso si propone, le persone a cui può essere rivolto e i costi. La personalizzazione non riguarda solo il contenuto dei corsi ma anche il luogo in cui si svolgono; infatti, la novità proposta da Finanza Monitor è la formazione a domicilio attivabile dal cliente, laddove questo risieda nel Nord-Centro Italia; infatti, a richiesta dell’utente, un docente potrà recarsi al domicilio della persona interessata e svolgere in modo personalizzato il corso prescelto soddisfando in modo attento tutte le richieste di approfondimento che emergeranno in quella sede. IL SERVIZIO DI REPORTISTICA FINANZIARIA FINANZA MONITOR offre, previa sottoscrizione a pagamento, un servizio di inoltro nella propria mail di reports di analisi e ricerca sui mercati finanziari. Vi interessa seguire l'evoluzione di un titolo azionario, di un mercato finanziario o di una valuta? Volete avere a disposizione un report professionale, tempestivo, indipendente e a basso costo, che Vi aiuti a prendere decisioni di investimento? Vediamo allora nel dettaglio le caratteristiche principali del servizio di reportistica. A) Tutti i reports sono forniti di una tabella di riepilogo che riassume il posizionamento sullo strumento oggetto del report; le posizioni si intendono aperte e chiuse al prezzo di apertura del giorno dopo rispetto al quale FINANZA MONITOR inoltra il report via mail; B) Tutti i reports sono forniti di un track record storico che indica la percentuale di guadagno/perdita teorica conseguente ai posizionamenti indicati e si azzera alla fine di ciascun anno; C) Tutti i reports sono inviati per mail; D) Il pagamento dei reports è anticipato e il costo è in funzione del numero di reports richiesto; E) Il servizio di inoltro dei reports si attiva non appena abbiamo ricevuto la conferma del pagamento; F) Il recesso dal servizio deve essere effettuato tramite l’inoltro di una mail di richiesta. Due sono le famiglie di reports offerte: gli ALERT REPORTS e gli STRATEGY REPORTS. ALERT REPORTS 1) Italian Stock Monitor: Siete interessati a seguire l'andamento di un'azione italiana? Questo report Vi permette di ricevere aggiornamenti, a Vostra scelta, su una o più azioni del listino italiano. Troverete contenuti di analisi tecnica e fondamentale sulle azioni di cui volete avere informazioni ed analisi aggiornate. Potrete personalizzare la Vostra richiesta nell'ambito delle azioni quotate presso la Borsa italiana. 2) Forex Report: Si tratta di un report di analisi tecnica e macroeconomica che fa il punto della situazione sui principali cambi (Euro Dollaro, Euro Yen ed Euro Sterlina); di sicuro aiuto per le aziende che hanno necessità di gestire il rischio cambio e vogliono un punto di riferimento affidabile per decidere cosa fare quando si ricevono flussi o si devono effettuare pagamenti in valuta. Costi: 8 euro a report singolarmente; per sottoscrizioni di 25 ALERT REPORTS (durata del servizio di circa 6 mesi) il prezzo scende a 6 euro per ogni report. E’ previsto l’inoltro di 2 reports gratuiti in sede di prima sottoscrizione del servizio. Cadenza: fino a 50 reports all’anno. STRATEGY REPORTS 1) Asset Allocation Report: Si tratta di un report di strategia ed asset allocation di medio lungo termine rivolto a investitori privati ed istituzionali; contiene tematiche di macroeconomia, analisi fondamentale ed analisi tecnica sui mercati azionari, obbligazionari, delle materie prime e valutari che aiutano l'investitore a fare scelte di investimento in modo più consapevole, informato e razionale. Costo: 30 euro una Asset Allocation Letter Per sottoscrizioni di almeno 6 report (durata del servizio di circa 6-8 mesi) il prezzo è di 25 euro a report. E’ previsto l’inoltro di 1 report gratuito in sede di prima sottoscrizione del servizio. Cadenza: Da 4 a 12 reports all’anno. Per ulteriori informazioni sull'offerta formativa dei diversi corsi, sul programma di ogni corso attivato e sui contenuti dei vari reports, sui costi e sulle modalità di fruizione di queste due tipologie di servizi, potete inviare una mail di richiesta al seguente indirizzo: finanzamonitor@yahoo.it

Thursday, March 17, 2011

Un interessante articolo di Financial Markets LAB

Pubblichiamo un interessante articolo del blog Financial Markets LAB (www.financialmarketslab.blogspot.com) sulle conseguenze economiche e finanziarie della tragedia avvenuta in Giappone. Buona lettura!

Con questo post voglio anch’io dare la mia opinione sull’impatto economico e finanziario che Il terremoto e lo tsunami giapponese potranno avere; ovviamente quello che dirò si riferisce ad una situazione che è ancora in divenire e, pertanto, diversi numeri o stime potranno già essere superati anche solo tra qualche settimana; in ogni caso i dati di cui parlerò sono importanti perché ci danno un ordine di grandezza della portata economica degli eventi giapponesi. Per cominciare, voglio ribadire la mia solidarietà ed il mio cordoglio a tutti i giapponesi che sono stati colpiti da questa tragedia.Fatta questa doverosa premessa, proviamo ad addentrarci nei freddi numeri, calcoli e questioni economico-finanziarie di questo cataclisma, vista anche la pessima reazione che i mercati finanziari stanno avendo negli ultimi giorni. Cercherò di procedere per punti, con la finalità di rendervi più chiare le questioni che affronterò.1) Per cominciare, il disastro provocato dal terremoto, si inserisce in una fase delicata per l’economia giapponese perché era prevista una nuova accelerazione della crescita economica nipponica, grazie al recupero delle attività globali nel corso di quest'anno. A questo punto, credo che, anche se la congiuntura esterna si manterrà favorevole, il dissesto interno non potrà fare altro che rallentare la crescita del Giappone. Sembra che l’area interessata dal terremoto sia piuttosto ampia perchè include 6 prefetture e ha una forte presenza di industrie, pari a circa il 6% del totale del paese. L’effetto globale in termini di calo della produzione, rallentamento dei traffici commerciali, dei flussi turistici e calo dei consumi, potrebbe essere davvero significativo. L’impatto sul PIL, che è stimato da diverse case di investimento tra lo 0,3% - 1,3% (un range molto ampio che evidenzia ancora la fase di incertezza) si potrebbe trasferire anche in attese di minore crescita globale (stando ad esempio alle ultime stime di JPMorgan Chase pre-terremoto, il Giappone aveva una crescita stimata dell’1,7%, mentre quella globale si attesta nell’ordine del 3,4%). A livello di numeri, Goldman Sachs, ad esempio, ha stimato il costo complessivo dei danni agli edifici e alle strutture produttive in circa 198 miliardi di dollari. 2) Nel primo giorno di negoziazioni dopo i tragici eventi dello scorso venerdì, il listino azionario giapponese (in base all’indice Topix) ha ceduto lunedì il 7,5%, seguito il giorno successivo da un’ulteriore perdita del 10% a causa delle preoccupazioni concernenti gli impianti nucleari danneggiati dallo tsunami. Il settore finanziario, quello del petrolio e del carbone e i servizi di pubblica utilità in ambito elettrico hanno subito le flessioni maggiori. Anche i principali settori all’esportazione hanno subito gravi perdite. Ovviamente, le maggiori preoccupazioni sono legate al nucleare. Tokyo Electric Power, la società che controlla la centrale nucleare di Fukushima ha ceduto qualcosa come il 40% a causa di timori di forti ripercussioni sugli impianti. Si sono verificate diverse esplosioni negli ultimi giorni e la situazione è poco chiara in termini di danni ed effetti radioattivi. Altri impianti hanno ridotto precauzionalmente l’operatività. La situazione di incertezza sta penalizzando tutti i produttori di energia del paese, direttamente o meno coinvolti nel nucleare, ma anche del mondo. Il terremoto dell’11 marzo 2011 è stato uno dei più forti con una magnitudo di 8,9, una delle più elevate dal 1990. Al momento, non ci sono sufficienti elementi per capire i danni all’impianto nucleare di Fukushima, tuttavia le notizie stanno via via peggiorando. Questo episodio potrebbe indurre un ripensamento globale sul tema del nucleare, mentre sembrano favoriti i produttori di energie rinnovabili. La cessata o minore produzione di componenti molto specialistici del settore tecnologico potrà rallentare la produzione di altri player globali (Dell, HP, Apple, etc.). Per contro, ciò potrebbe determinare un effetto di trasferimento di produzione in altri paesi come Taiwan e Corea. Alcune aziende coreane hanno già detto di avere scorte per far fronte ad eventuali effetti di scarsità. Taiwan potrebbe intervenire per fornire tecnologia e componenti ai produttori di tablet/smartphone. Anche in questo caso gli effetti positivi non sono immediati ma potranno comportare qualche tempo per la messa a punto di nuove linee di produzione e per l’approvazione dei nuovi componenti. Non bisogna poi dimenticare che Giappone, Taiwan e Corea sono diretti concorrenti in molti settori come raffinazione, chimica, auto e acciaio. Il calo della produzione di questi settori in Giappone potrà favorire proprio i paesi asiatici concorrenti. Anche il settore finanziario potrebbe soffrire: a) le banche giapponesi potranno risentire del calo dell’attività economica, del credito e per le perdite su crediti; b) le assicurazioni per l’aumento delle richieste di rimborso. Le assicurazioni di paesi come Germania e Regno Unito potranno anche subire forti ripercussioni. Per contro sono viste positivamente le banche cinesi che sono poco aperte al contesto internazionale e i cui EPS dipendono fortemente dall’economia domestica. Anche l’India è relativamente poco esposta al Giappone e potrebbe beneficiare delle difficoltà del paese asiatico. 3) Nonostante tutto, la storia ci insegna che il tempo cura le ferite generate dagli eventi più drammatici; devo riconoscere che, rispetto a situazioni precedenti di disastro, le autorità giapponesi hanno reagito rapidamente per alleviare gli effetti avversi prodotti dal terremoto sul fronte economico e finanziario. Lunedi la Banca del Giappone ha immesso la cifra record di 15.000 miliardi di yen nei mercati monetari e ha raddoppiato le dimensioni del suo programma di acquisto di asset portando la cifra a 10.000 miliardi di yen, per un totale di 40.000 miliardi di yen, nel tentativo di stabilizzare il sistema finanziario. 4) Per fare qualche considerazione in più sugli effetti attesi possiamo analizzare cosa è accaduto all’economia e ai mercati in occasione del terremoto del gennaio 1995 che interessò le aree di Osaka e Kobe. La rilevanza economica di Osaka e Kobe fu superiore, con un impatto sul PIL di circa il 6% e una popolazione di circa 14,5 milioni di persone. L’attuale episodio interessa, tra gli altri, i distretti di Miyagi, Fukushima e Sendai, meno rilevanti dal punto di vista del contributo al PIL (3,5%) e della popolazione (circa 4,5 milioni), tuttavia l’area è molto vasta ed è importante in termini di presenza produttiva energetica e non. Anche se i due episodi non sono del tutto paragonabili e le fasi del ciclo economico differiscono, vale la pena ricordare cosa accadde nel 1995. I principali effetti furono: forte calo dell’indice mensile e della produzione, calo di Export/Import e forte apprezzamento dello yen, deterioramento della propensione al consumo, con calo dei consumi soprattutto discrezionali, e forte recupero di consumi di beni durevoli nei mesi successivi. Nel 1995 l’indice Topix è sceso per tutto il primo semestre (- 26%), ma poi è rimbalzato fortemente nell’anno successivo raggiungendo il massimo a fine giugno 1996 (+55% dai minimi di un anno prima). Le forti interrelazioni dell’economia di oggi rispetto al 1995, rendono l’effetto contagio globale dell’episodio attuale più preoccupante. Si teme che questo evento, unito ad altre situazioni che stanno condizionando il contesto, come la crisi del Medio Oriente e il rialzo del prezzo del petrolio, e la perdurante debolezza dell’area Euro, siano una miscela di eventi sfavorevoli tale da frenare la fase positiva del ciclo economico in corso. In confronto al passato recente, le valutazioni di mercato sono decisamente più favorevoli. Attualmente, le negoziazioni sul TOPIX avvengono con un rapporto prezzo/valore di libro pari a 1,0x con molte società di fatto inferiori al valore di libro. Inoltre, il rapporto prezzo/utili stimato per l’indice TOPIX si attesta sul 13-14x circa, rispetto ad una media a 20 anni di oltre 30x.5) Come è avvenuto nel caso precedente del terremoto del 1995, l’effetto sul ciclo economico giapponese di medio-lungo termine potrebbe essere favorevole grazie ai piani di ricostruzione e alla ripresa di investimenti pubblici e privati. Analogamente a quanto si è verificato nel 1996, nel 2012 ci si attende una ripresa della propensione ai consumi, della produzione industriale e degli investimenti. Ma in base a quanto sta emergendo, l’orizzonte della ripresa potrebbe essere anche più lontano.6) La sfavorevole posizione fiscale del Giappone, in termini di elevato livello di debito costituisce un limite all’espansione della spesa pubblica e degli investimenti infrastrutturali che saranno necessari per la ricostruzione. Il Giappone ha un debito/PIL superiore al 230% e un deficit/PIL di circa il 10%. Per contro si rileva una forte propensione al risparmio delle famiglie, che è una delle più alte al mondo, anche se in calo negli ultimi anni. 7) In area Euro gli eventi nipponici potrebbero rappresentare un deciso freno alle intenzioni della BCE di voler rialzare i tassi fin dal prossimo aprile, a meno che Trichet oltre che di erostratismo non soffra anche di masochismo.Chiudo ringraziando il blog FINANZA MONITOR (www.finanzamonitor.blogspot.com) che ha pubblicato questo post.

Friday, August 20, 2010

Il nuovo servizio di formazione personalizzata di FINANZA MONITOR

Il progetto FINANZA MONITOR non si distingue solo per il fatto di offrire servizi in ambito finanziario con un ottimo rapporto prezzo-qualità (organizzazione di corsi e produzione di report economico-finanziari) ma anche per l'idea della formazione personalizzata.
Il servizio è al momento attivo e a disposizione per tutti coloro i quali risiedono nel Nord e Centro Italia; grazie a questo servizio il cliente interessato ad aumentare la propria cultura economico-finanziaria ha la possibilità di usufruire di corsi personalizzati nei contenuti, nei costi e nei tempi, in modo da soddisfare appieno le proprie esigenze. Il cliente potrà partecipare a corsi di formazione direttamente presso il proprio domicilio visto che un docente si recherà presso di lui effettuando il corso prescelto in presenza del solo cliente. In questo modo avete a completa disposizione, per tutta la durata del corso, il docente che potrà modulare al meglio la formazione adattandola alle Vostre reali esigenze. Naturalmente l'offerta formativa riguarda i 5 ambiti in cui si sviluppa tradizionalmente la nostra attività:
1) Area Analisi Finanziaria e Macroeconomica
2) Area Tecniche di gestione del portafoglio
3) Area Trading on line e Tecniche di trading
4) Area Divulgazione e Cultura finanziaria
5) Area Strumenti finanziari
Per ogni ulteriore informazione riguardo l'elenco dei corsi sinora attivati potete contattarci al seguente indirizzo di posta elettronica:

finanzamonitor@yahoo.it

Thursday, August 19, 2010

Un nuovo magistrale intervento di Financial Markets LAB

Pubblichiamo, previa autorizzazione del blog Financial Markets LAB (www.financialmarketslab.blogspot.com), l'ultimo numero della Newsletter appena uscito; buona lettura!

Financial Markets LAB Newsletter – agosto 2010 – N°VIII
Ginseng, Eleuterococco e Guaranà
No, la Financial Markets LAB Newsletter non si è trasformata in una rivista di erboristeria, tranquilli! Ho intitolato questo numero con i nomi di tre potenti stimolanti fitoterapici perché voglio parlarvi ancora una volta dello stato in cui versa l’economia Usa.
Ovviamente, torno sull’argomento non perché ci sono delle novità positive ma proprio per il fatto che lo scenario di riferimento sta continuando a deteriorarsi anche a fronte dell’utilizzo (negli ultimi mesi) di medicine non convenzionali (come i fitoterapici appunto) e di un “accanimento terapeutico”, da parte delle Autorità di politica monetaria e fiscale, che trova pochi eguali nella storia economica.
A questo punto, penso che la politica monetaria e i rimedi non convenzionali (ovviamente mi riferisco alle politiche di Quantitative Easing) stiano mostrando tutti i loro limiti e ogni ulteriore mossa su questo fronte, temo, si rivelerà totalmente inutile ed inefficace per risollevare i destini economici degli Usa; per questa ragione credo che l’attesa che il mercato aveva riservato agli annunci della Fed, negli scorsi giorni, è stata eccessiva e fuori luogo e che, come spesso accade, i mercati finanziari hanno vissuto di illusioni e sogni.
Da mesi sul mio blog vado ribadendo che le politiche di Quantitative Easing sono dei “grandi esperimenti” la cui efficacia è tutta da dimostrare sia da un punto di vista teorico che pratico (la situazione in cui versa il Giappone la dice lunga!). Che dire poi del livello raggiunto dai tassi di riferimento Usa? E la crescita economica? Beh basta guardare solo pochi indicatori per capire che non siamo mai stati fuori dalle secche della recessione e che il rimbalzo che abbiamo visto in certi numeri è stato sostenuto solo ed esclusivamente da una mole enorme di aiuti statali. La crescita occupazionale, dei consumi e della stessa fiducia dei consumatori rimangono solamente lontani miraggi; come dare torto a chi parla di jobless recovery, cioè di una ripresa senza crescita dell’occupazione?!
I miei lettori sanno che tra gli indicatori che reputo validi per cercare di capire lo stato di salute dell’economia statunitense annovero l’indice ECRI, calcolato dall’Economic Cycle Research Institute. Ebbene, i livelli di questo indicatore sono correlati con uno sfasamento temporale di alcune settimane con l’ISM Manifatturiero Usa, che ci da lo stato di salute del settore manifatturiero a stelle e striscie; i livelli raggiunti dall’indice ECRI indicherebbero che per ottobre/novembre l’ISM Manifatturiero vada verso livelli prossimi a 40 (adesso siamo sopra 50)!!
Di questa grave situazione ne è al corrente la Fed anche se la presa di atto ufficiale l’abbiamo vista solo con l’ultimo, tanto atteso, statement di agosto (ricordo che i mercati azionari ma sopratutto molti indicatori anticipatori dello stato di salute dell’economia statunitense hanno fatto i massimi in aprile!); lo scenario che ci si para davanti, nella migliore delle ipotesi, è quello di una crescita estremamente moderata e ancora drogata da politiche monetarie “estreme” (che nel passato hanno contribuito a formare bolle sulle diverse asset class) nonché da politiche fiscali che non faranno altro che aumentare ulteriormente le voragini di debito (già ora su livelli molto preoccupanti). E proprio dalla politica fiscale di Obama il mercato chiede un ulteriore contribuito per sostenere l’economia e indirettamente le Borse. E allora? Nuovo giro di cash for clunkers per sostenere il mercato dell’auto americano? Nuovi aiuti al mercato immobiliare? Ancora soldi, soldi e ancora soldi per rivitalizzare il “moribondo”; ricordo ai miei lettori che in Usa:

- i tassi sono già prossimi allo 0
- il budget deficit rappresenta circa il 10% del Pil
- il bilancio della Fed è triplicato (ben oltre oltre i 2 trillioni di dollari!!)
- la Fed ha speso qualcosa come 1.7 trillioni di dollari per riacquistare titoli tossici e treasury
- sono stati messi in campo dal Governo 700 miliardi di dollari con il TARP (Troubled Asset Relief Program)

E ancora il “malato” non si è alzato dal letto! E allora come si può essere fiduciosi su quello che le Autorità metteranno in campo nei prossimi mesi?
I fenomeni di deleveraging, di smaltimento dei debiti accumulati negli ultimi anni, di smaltimento della sovracapacità produttiva delle economie occidentali e, soprattutto, il ridimensionamento di valore degli asset finanziari e non (azioni e immobili) necessiteranno di tempo prima che giungano al capolinea; ma per tempo non intendo settimane o mesi ma anni!
E allora, in un contesto di questo tipo, quando guardo alle scelte di investimento navigo a vista, con un atteggiamento di estrema prudenza nei confronti delle asset class rischiose, aspettando con pazienza che il lungo, lunghissimo bear market secolare volga al termine…..


Ricordiamo ai lettori che potete richiedere gratuitamente l'inoltro di questa Newsletter inoltrando una richiesta con il Vostro nome al seguente indirizzo:
finmklab@yahoo.it

Sunday, March 7, 2010

I corsi di FINANZA MONITOR dell'area Analisi finanziaria e Macroeconomica

Ecco un dettagio dei nostri corsi dell'Area Analisi Finanziaria e Macroeconomica. Per maggiori dettagli su questi corsi potete contattarci all'indirizzo di posta elettronica:

finanzamonitor@yahoo.it

Analisi Tecnica dei mercati finanziari - In economia l'analisi tecnica è lo studio dell'andamento dei prezzi dei mercati finanziari nel tempo, allo scopo di prevederne le tendenze future, mediante principalmente metodi grafici e statistici. In senso lato è quella teoria di analisi (ovvero insieme di principi e strumenti) secondo cui è possibile prevedere l'andamento futuro del prezzo di un bene quotato (reale o finanziario), studiando la sua storia passata. Essa si prefigge di analizzare e comprendere, attraverso il grafico, l'andamento dei prezzi, il quale a sua volta rispecchia le decisioni degli investitori; e si basa sull'assunto fondamentale che, poiché il comportamento degli investitori si ripete nel tempo, al verificarsi di certe condizioni grafiche anche i prezzi si muoveranno di conseguenza. L’analisi tecnica comprende molte teorie e tecniche di analisi; FINANZA MONITOR propone 5 corsi per approfondire tali tematiche.

CORSO BASE DI ANALISI TECNICA DEI MERCATI FINANZIARI - PROGRAMMA
(1) principi introduttivi - storia dell'analisi tecnica
(2) principali tipi di grafico
(3) tecniche di ritracciamento dei prezzi
(4) figure di inversione e di continuazione del trend
(5) analisi algoritmica - i principali indicatori di analisi tecnica
(6) conclusioni e riferimenti bibliografici

CORSO AVANZATO DI ANALISI TECNICA DEI MERCATI FINANZIARI: L’UNIONE DEGLI STRUMENTI PIU’ DIFFUSI PER ANALIZZARE E PREVEDERE I MERCATI FINANZIARI – PROGRAMMA
(1) Analisi e previsione dei mercati finanziari
(2) L’utilizzo dell’analisi grafica e algoritmica per analizzare e fare previsioni
(3) Esercitazioni con casi reali
(4) Analisi tecnica qualitativa e analisi tecnica quantitativa
(5) Introduzione ai trading system
(6) Conclusioni e riferimenti bibliografici

CORSO AVANZATO DI ANALISI TECNICA DEI MERCATI FINANZIARI: LA TECNICA GRAFICA DELLE CANDLESTICK GIAPPONESI PER ANALIZZARE E PREVEDERE I MERCATI FINANZIARI – PROGRAMMA
(1) Principi introduttivi – storia delle candlestick giapponesi
(2) Le principali conformazioni di inversione del trend
(3) Casi pratici
(3) Le principali conformazioni di continuazione del trend
(4) Casi pratici
(5) L’utilizzo delle candlestick con le altre tecniche di analisi tradizionali
(6) Casi pratici
(7) Conclusioni e riferimenti bibliografici

CORSO AVANZATO DI ANALISI TECNICA DEI MERCATI FINANZIARI: LE TECNICHE GRAFICHE ALTERNATIVE PER ANALIZZARE E PREVEDERE I MERCATI FINANZIARI: THREE LINE BREAK, KAGI E RENKO – PROGRAMMA
(1) Principi introduttivi – storia delle tecniche Three line break, Kagi, Renko
(2) I three line break chart: modalità di costruzione e di utilizzo
(3) Casi pratici
(4) I Kagi chart: modalità di costruzione e di utilizzo
(5) Casi pratici
(6) I Renko chart: modalità di costruzione e di utilizzo
(7) Casi pratici
(8) L’utilizzo dei three line break, kagi e renko chart con le altre tecniche di analisi tradizionali
(9) Casi pratici
(10) Conclusioni e riferimenti bibliografici

CORSO AVANZATO DI ANALISI TECNICA DEI MERCATI FINANZIARI: I TRADING SYSTEM – PROGRAMMA
(1) Principi introduttivi sui trading system
(2) discrezionalità vs oggettività
(3) Come nasce un trading system
(4) Le fasi di costruzione pratica di un trading system
(5) I linguaggi di programmazione: cenni
(6) Principali tipologie di trading system
(6) Casi pratici
(7) Conclusioni e riferimenti bibliografici

Analisi Fondamentale - L'Analisi fondamentale è, assieme all'Analisi tecnica, il principale strumento per lo studio finalizzato a supportare un investimento. Volendo distinguere l'Analisi fondamentale da quella tecnica si può dire che mentre l'Analisi tecnica cerca di definire il prezzo futuro di un titolo basandosi su grafici, l'analisi fondamentale si occupa di stabilire il "giusto prezzo" di un titolo in base alle caratteristiche della società cui fa riferimento. Le variabili studiate con l'analisi fondamentale saranno quindi tutti gli eventi economici che hanno un qualche impatto sulla società presa in esame, che comporta riuscire ad avere una visione d'insieme del settore in cui la società opera ma soprattutto è necessaria un'approfondita conoscenza del Bilancio d'esercizio, che è lo strumento primario di valutazione utilizzato nell'analisi fondamentale. FINANZA MONITOR propone un interessante corso base.

CORSO BASE DI ANALISI FONDAMENTALE DEI TITOLI AZIONARI – PROGRAMMA
(1) Principi introduttivi
(2) I conti dell’azienda ovvero patrimonio e conto economico: come leggere quello che serve
(3) Dove reperire le informazioni e i target price degli analisti
(4) I principali indicatori di bilancio
(5) I multipli di prezzo e di mercato
(6) Casi pratici
(7) Il beta ed il premio per il rischio
(8) Casi pratici
(9) I modelli di valutazione: Dividend Discount Model e Discounted Cash Flow
(10) Notizie e movimenti di prezzo: grandi eventi e comunicazioni societarie
(11) Casi pratici
(12) Conclusioni e riferimenti bibliografici

Analisi Macroeconomica - La teoria macroeconomica si occupa dell’andamento del sistema economico nel suo insieme: delle fasi di espansione e di recessione della produzione globale di beni e servizi e della crescita della produzione, dei tassi di inflazione e di disoccupazione, della bilancia dei pagamenti e dei tassi di cambio. La macroeconomia analizza le politiche economiche e le variabili di politica economica che influenzano questo andamento: le politiche monetarie e fiscali, lo stock di moneta e i tassi di interesse, il debito pubblico e il bilancio del governo.
FINANZA MONITOR offre un corso base e tre corsi avanzati di macroeconomia.

CORSO BASE DI ANALISI MACROECONOMICA
(1) Introduzione
(2) Principi di contabilità nazionale
(3) La determinazione della domanda (consumi, Investimenti, Spesa pubblica)
(4) La domanda di moneta
(5) La curva IS-LM
(6) Il mercato del lavoro
(7) Politiche monetarie e fiscali
(8) Conclusioni e riferimenti bibliografici

CORSO AVANZATO DI ANALISI MACROECONOMICA – LIVELLO I
(1) Introduzione
(2) Il trade-off tra inflazione e disoccupazione
(3) La crescita economica
(4) I cicli economici
(5) La bilancia dei pagamenti
(6) Tassi di cambio, prezzi e tassi di interesse
(7) Il modello di Mundell-Fleming
(8) Conclusioni e riferimenti bibliografici

CORSO AVANZATO DI ANALISI MACROECONOMICA – LIVELLO II
(1) Introduzione
(2) Concetti base di teoria monetarista
(3) La politica monetaria e il suo meccanismo di trasmissione
(4) Le operazioni delle banche centrali
(5) Conclusioni e riferimenti bibliografici

CORSO AVANZATO DI ANALISI MACROECONOMICA – L’INTERPRETAZIONE DEI DATI MACROECONOMICI A FINI OPERATIVI
(1) Introduzione - Mercati finanziari globali e dati macroeconomici
(2) Indicatori relativi all’offerta aggregata – produzione, settore edilizio, occupazione, inflazione
(3) Indicatori relativi alla domanda aggregata – settore pubblico, vendite e consumi, ordini alle imprese, reddito disponibile, conti con l’estero, indici composti e indici di fiducia
(4) Aggregati monetari – offerta di moneta, indici relativi al settore creditizio
(5) Conclusioni e riferimenti bibliografici

Finanza Comportamentale - La finanza comportamentale e l'economia comportamentale sono campi di studio strettamente legati, che applicano la ricerca scientifica nell'ambito della psicologia cognitiva alla comprensione delle decisioni economiche e di investimento e come queste si riflettano nei prezzi di mercato e nell'allocazione delle risorse. Entrambe si interessano della razionalità, o meglio della sua mancanza, da parte degli agenti economici e finanziari. I modelli studiati in questi campi tipicamente integrano risultati della psicologia cognitiva con l'economia neoclassica.

CORSO BASE DI FINANZA COMPORTAMENTALE
(1) Principi introduttivi e storia
(2) Teoria dei prospetti e avversione per ambiguità
(3) Teoria del rimpianto e Overconfidence
(4) Underreaction e Overreaction
(5) Conservatorismo e rappresentatività
(6) Rappresentatività, disponibilità ed ancoraggio
(7) Comportamento imitativo
(8) Conclusioni e riferimenti bibliografici

CORSO AVANZATO DI FINANZA COMPORTAMENTALE: LA FINANZA COMPORTAMENTALE QUALE STRUMENTO DI SUPPORTO ALLA RETE DI VENDITA
(1) Principi introduttivi
(2) Il valore del denaro ed il conflitto decisionale - contabilità mentale ed investimenti
(3) Il problema della gestione e della qualità delle informazioni finanziarie
(4) Le trappole della mente – Euristica della rappresentatività – Euristica della disponibilità
(5) Illusioni cognitive – l’effetto cornice
(6) La teoria del Prospetto di Kahneman-Tversky – La funzione di utilità degli investitori
(7) Avversione alla perdita, rammarico e il dispiacere della scelta
(8) Asset allocation e finanza comportamentale
(9) Conclusioni e riferimenti bibliografici

Saturday, February 6, 2010

In uscita un report sul settore bancario italiano intitolato: "Banche italiane: un'opportunità di investimento?"

E' in uscita un report che si focalizza sul settore bancario italiano valutando dal punto di vista tecnico e fondamentale i rischi e le opportunità di questo importante settore.
Il costo è di 25 euro e potete richiederlo al solito indirizzo:
finanzamonitor@yahoo.it

Sunday, January 24, 2010

Il dibattito sul nuovo assetto delle istituzioni finanziarie: il parere di Financial Markets LAB

Il dibattito sui nuovi assetti dell'economia e delle istituzioni finanziarie è in corso; pubblichiamo un'interessante voce fuori dal coro del blog Financial Markets LAB.

Quando leggo certi articoli rimango, sinceramente molto perplesso. Mi riferisco a quello pubblicato su Il Sole 24 Ore di venerdì 22 gennaio a pagina 12, di Donato Masciandaro. L’articolo, intitolato “Giù le mani dalle banche centrali”, è una difesa a spada tratta, riguardo l’autonomia delle banche centrali, alla luce della crisi vissuta dall’economia globale. In apparenza, la causa dell’indipendenza e dell’autonomia appare sacrosanta, tuttavia mi preme fare alcune considerazioni, entrando in punta di piedi nel dibattito in corso, riguardo il ruolo che dovranno giocare le banche centrali in futuro. L’articolo evidenzia la differenza tra banca centrale monetarista, che si pone come unico obiettivo quello della stabilità dei prezzi e banca centrale di stampo keynesiano, che tende ad avere responsabilità anche nell’ambito della vigilanza.
Masciandaro scrive:”Finora infatti le banche centrali monetariste hanno ben perseguito il loro obiettivo primario: il controllo dell’inflazione, soprattutto nelle economie sviluppate. In secondo luogo, le banche centrali monetariste, almeno finora, hanno tutelato meglio anche la stabilità monetaria”.
Masciandaro prosegue ancora:”Dunque, dopo la lezione della crisi, la ricetta dovrebbe essere: mantenere le banche centrali indipendenti nella gestione della politica monetaria, evitando che si occupino anche della vigilanza”.
In altre parole, l’autore sarebbe per una banca centrale di stampo monetarista che mantenga la propria indipendenza. Ebbene, questa soluzione significherebbe non avere imparato nulla dalla più grave crisi economica vissuta finora dalle economie occidentali. Il vero problema, a mio avviso, non è lo scegliere tra l’impostazione monetarista o quella keynesiana ma piuttosto quello di riconoscere, innanzitutto, che gli obiettivi di stabilità dei prezzi e monetaria, nel corso degli ultimi anni, non sono stati pienamente raggiunti. Le ragioni di questo parziale fallimento sono legate, in parte, ad effettivi casi di incapacità di alcuni banchieri centrali e, in larga misura, alla manifesta impossibilità di prevedere l’andamento futuro delle principali variabili macroeconomiche. Come si fanno ad utilizzare strumenti di politica monetaria in modo efficace quando le decisioni si basano su variabili macroeconomiche difficili da prevedere?! Un banale esempio? Negli Usa vengono fornite a distanza di tempo 3 stime del Pil che cambiano anche molto l’una dall’altra.
Tornando ai risultati ottenuti dalle banche centrali, cito un solo esempio: la situazione di deflazione in cui versa da molti anni il Giappone ed in cui potrebbero cadere altre economie, come quella statunitense, qualora la Federal Reserve sbagli nel giocare la carta della exit strategy. In effetti, tenendo conto delle distorsioni nelle misurazioni standard dei prezzi a livello aggregato, la frequenza trimestrale di una “deflazione effettiva” è aumentata sensibilmente negli ultimi anni (si veda la tabella seguente). La recente esperienza giapponese e quella della Grande Depressione mostrano con chiarezza come un contesto apparentemente favorevole di bassa inflazione possa cedere il posto a una deflazione dirompente. La tabella qui in basso mostra in percentuale il numero di trimestri in cui i diversi Paesi esaminati hanno sperimentato livelli di crescita dei prezzi sotto 1%.

Inoltre, l’uso indiscriminato della leva monetaria è stata una delle principali cause dell’instabilità e delle bolle finanziarie susseguitesi una di seguito all’altra: dalla bolla tecnologica degli anni duemila a quella dei mutui subprime e del mercato immobiliare Americano del 2007, con conseguenze pesanti sull’economia reale e sull’andamento dei mercati finanziari. A che prezzo quindi, le banche centrali hanno perseguito, senza raggiungerli pienamente, i loro obiettivi di controllo dell’inflazione e di stabilità monetaria?! Qual’è stato il costo sociale delle politiche monetarie adottate dalle banche centrali?!
Masciandaro sostiene poi che “le banche centrali monetariste, almeno finora, hanno tutelato meglio anche la stabilità monetaria.”
Non entro nel merito della scelta tra banca centrale monetarista e keynesiana; se per stabilità monetaria l’autore intende il contenimento delle oscillazioni dei cambi, sinceramente non mi risulta che l’obiettivo sia stato raggiunto; cito un solo esempio: il dollar index, indice paniere delle principali valute contro il dollaro americano solo negli ultimi due anni è andato da 72 a 88 e poi è tornato a 74; un range di escursione di oltre il 20%. Questa si chiama stabilità monetaria?! La stabilità monetaria non è perseguibile in un regime di cambi flessibili, in un contesto cioè dove il rapporto di cambio si muove, si aggiusta (anzi si deve aggiustare!) in funzione delle aspettative degli investitori, fungendo proprio da meccanismo riequilibratore. Ebbene, non esiste nessuna banca centrale al mondo in grado di mantenere fermo o stabile il proprio tasso di cambio. Ricordo ad esempio negli anni passati gli sforzi, completamente inutili, perseguiti da Bank of Japan per stabilizzare lo Yen. Proprio in questa fase gli Usa hanno bisogno di un dollaro debole per mitigare i disequilibri esistenti.
Tornando alle politiche monetarie, effettivamente, negli ultimi decenni del Novecento, pressoché in tutti i Paesi occidentali, ci si è orientati a considerare cruciale il controllo del tasso di inflazione. Alle banche centrali è stato affidato il compito di perseguire la stabilità dei prezzi.Si è affermata la consapevolezza che l'inflazione comporta costi elevati agli operatori economici perché altera il valore segnaletico dei prezzi relativi nell’allocazione delle risorse. Secondo questa logica quindi la banca centrale deve porsi come obiettivo la determinazione di un tasso ottimale di inflazione che sia stabile nel tempo. In effetti, i motivi che depongono a favore della stabilità monetaria, e quindi per una politica monetaria che si ponga l’obiettivo di stabilizzare il tasso di inflazione su un valore prossimo a zero, sono molteplici. Ad esempio, la combinazione di inflazione e sistemi tributari non perfettamente indicizzati può generare distorsioni fiscali (il cosiddetto fiscal drag). Un tasso d’inflazione instabile poi, può dar luogo a fenomeni di illusione monetaria che induce gli operatori a adottare decisioni non corrette. Inoltre, se l’inflazione è di per sé un fenomeno negativo l’obiettivo della stabilità monetaria ha il pregio di essere semplice e credibile per le autorità monetarie che s’impegnano a conseguirlo.
Tuttavia, affinché le politiche monetarie anti-inflazionistiche non siano socialmente costose è necessario che si verifichino tre importanti condizioni:
a) il mercato del lavoro deve trovarsi continuamente in equilibrio (non devono quindi esistere contratti di lavoro multiperiodali);b) le aspettative non devono essere di tipo adattivo; nel caso di aspettative adattive che tendono, quindi, a modificarsi lentamente, se la banca centrale adotta una politica restrittiva, che consente di eliminare l'inflazione, ciò avverrà al prezzo di un aumento del tasso di disoccupazione nel breve periodo perchè le aspettative circa il tasso d’inflazione prevalente nel periodo successivo saranno riviste gradualmente, quindi anche i salari monetari si adegueranno con ritardo, per cui si avrà un aumento temporaneo del tasso di disoccupazione oltre il suo livello naturale.
c) le politiche monetarie annunciate devono essere credibili; se la banca centrale gode di un'elevata reputazione, non solo la soluzione non-inflazionistica risulta più facilmente raggiungibile, ma l'efficacia della politica monetaria è accresciuta, perché i segnali lanciati dalle autorità monetarie risultano credibili.

Ho seri dubbi circa la possibilità che queste tre condizioni sussistano o siano esistite simultaneamente nei periodi passati. Da qui traggo una prima importante conclusione ribadendo un concetto già espresso: la questione cruciale non è la scelta tra banche monetariste o keynesiane; la questione è: poiché le banche centrali non sono in grado di perseguire pienamente l’obiettivo di controllo dell’inflazione, anzi con le loro politiche monetarie hanno alimentato i problemi del sistema, mai come ora, dopo “la madre di tutte le crisi economiche” è necessario cogliere l’occasione per ridefinirne il loro ruolo assegnandogli obiettivi effettivamente raggiungibili e volti a creare benessere e crescita economica sostenibile. Abbiamo davanti a noi una grande possibilità: quella di definire un nuovo paradigma e di ridisegnare le regole del sistema economico.
Ben vengano a questo proposito le visioni illuminate di grandi economisti come Partha Dasgupta che, ad esempio, mettono in discussione l’abc dell’economia: le modalità di calcolo del Pil di un Paese!
La questione dell’indipendenza di cui parla Masciandaro poi, è un altro nodo da chiarire.
E’ vero, l’indipendenza della banca centrale è stata introdotta in molti Paesi, con un obiettivo ben chiaro e facile da misurare: combattere l’inflazione. Tuttavia molti autori evidenziano come i risultati ottenuti contro l’inflazione dipendano non tanto dall’indipendenza in se ma da quanto le istituzioni del Paese sono forti; l’evidenza empirica mostra come i risultati contro l’inflazione sembrano scarsi o del tutto assenti nei Paesi con istituzioni politiche troppo forti oppure deboli. Viceversa, l’effetto sull’inflazione è più forte nei Paesi con istituzioni di forza intermedia.
Pertanto, se da un lato l’indipendenza è un concetto condivisibile, dall’altro la definizione dell’indipendenza di una banca centrale non può prescindere da un’attenta analisi della qualità delle istituzioni del Paese a cui appartiene.Dunque, bisogna ridefinire il ruolo e le responsabilità delle banche centrali alla luce dei limiti che le loro politiche, a volte dissennate, hanno mostrato avere in questi anni, modulandone l’indipendenza in funzione dei Paesi a cui appartengono.

Financial Markets LAB (http://www.financialmarketslab.blogspot.com/)

Saturday, January 16, 2010

Pubblichiamo la seconda parte di un interessante articolo scritto dal Blog Financial Markets LAB e tratto dalla Financial Markets LAB Newsletter.

Financial Markets LAB Newsletter – gennaio 2010 – N°2 Opportunità di investimento nel 2010: tra rischi ed opportunità – II° PARTE
Nello scorso report abbiamo parlato di rischi: sul versante della sostenibilità di una crescita economica drogata dalla creazione di carta in eccesso, a causa dell’immane debito dei Paesi Occidentali e delle exit strategy che le Banche Centrali dovranno, prima o poi, intraprendere. L’elenco dei rischi non è esaurito, ma prima voglio ripartire esattamente da dove ci eravamo lasciati: dal decennio perduto delle Borse e dell’economia. Chi avesse investito 100 euro nell’indice europeo all’inizio del 2000, oggi ne avrebbe circa 87, dividendi inclusi. Le analogie con il periodo 1968-1982 ci sono;anche allora lo sboom iniziò dopo uno straordinario periodo di crescita iniziato con la ricostruzione dopo la fine della seconda guerra mondiale; negli anni novanta, invece, la crescita fu trainata dall’innovazione tecnologica (internet) e da una produttività stellare. Ma la crescita non dura all’infinito, in particolare, se si producono beni e servizi in eccesso rispetto a quanto la domanda può assorbire.
E’ impressionante vedere i rendimenti decennali total return(comprensivi, cioè, non solo della rivalutazione dei corsi azionari ma anche della distribuzione dei dividendi) dell’indice S&P500 della Borsa Americana dagli anni ’30 ad oggi; dal grafico a barrequi sopra risulta anche evidente come gli anni ’50, ’80 e ’90 siano stati eccezionali dal punto di vista dei rendimenti e che passeranno alcuni lustri prima di rivederli. Più realistico dunque ipotizzare per le azioni rendimenti non stellari del 5%-7% all’anno per il decennio che abbiamo davanti, a meno che la storia non ci riservi sorprese dal punto di vista dell’innovazione tecnologica (auto ad idrogeno, energie alternative, etc).Parlare dell’occupazione, poi, è come sparare sulla croce rossa; guardate il grafico seguente che mostra quanta occupazione è stata creata nel decennio appena trascorso. Non era mai successo, dagli anni ‘40 ad oggi, di vedere una così bassa creazione di posti di lavoro!


Torniamo ai rischi, partendo proprio dall’occupazione; in realtà, dell’occupazione abbiamo già parlato nelle scorse Financial Markets LAB Newsletter e nei vari post sul Blog; quindi non ha senso dilungarsi oltre; ribadisco solo che nel corso del 2010l’occupazione rimarrà asfittica con tendenza al peggioramento e, nella migliore delle ipotesi, potrà tendere a stabilizzarsi sui livelli raggiunti nel 2009; gli eventuali segni di miglioramento deriveranno solamente da aiuti statali e non saranno legati a scenari di crescita sostenibile. Come può migliorare l’occupazionese grandi settori come quello immobiliare o automobilistico Americano, stanno lottando con problemi di sovra capacità produttiva?! Come ho già detto, vedo solo una via d’uscita: l’innovazione tecnologica.Ovviamente, problemi sul versante occupazionale si ripercuotono dal lato dei consumi (circa due terzi del Pil Usa una volta era costituito dai consumi degli Americani) e della fiducia delle famiglie.Nel sistema finanziario i problemi non sono ancora del tutto risolti; aspettiamoci nuovi fallimenti di banche nel corso di questo anno e le istituzioni creditizie che non falliranno soffriranno ancora pesantemente (mi riferisco in particolare allebanche anglosassoni; quelle italiane sono un’altra storia, per fortuna); un esempio?Citigroup è esposta per centinaia di miliardi di dollari nel settore real estate; non credo che il settore immobiliare Usa risorgerà questo anno; anzi, penso che il rimbalzoin atto sarà di breve durata (vedi indicatori tipo l’S&P-Case Shiller Index); nei prossimi anni (2010-2012) una marea di mutui dovranno essere rinegoziati negli Stati Uniti; in altre parole, gente che aveva acceso mutui ARMs negli scorsi anni a condizionivantaggiose saranno costrette, a causa del vincolo contrattuale, a rivedere (in peggio!!) le condizioni dei loro mutui; gli ARMs sono dei mutui dove c’è un’opzione, una clausola, che permette al mutuatario di pagare un interesse molto basso per i primianni di vita del mutuo, successivamente l’interesse viene ricalcolato con dei parametri molto peggiorativi. Difatti da qui il prefisso ARMS = option adjustable-rate mortgages.E come commentare la recente affermazione di Geithner (Segretario del Tesoro Americano)?!:“We're not going to have.... a second wave of financial crisis..... We'll do what is necessary to prevent that.......and that is completely within our capacity to prevent."
Mi viene da dire una sola parola: FANTASTICO!!!
L’affermazione del Segretario del Tesoro Usa è un’ammissione implicita che le autorità Statunitensi si attendono una “second wave” magari proprio legata ai mutui ARMs o alla marea di strumenti derivati ancora annidati nei bilanci delle banche (chedall’inizio della crisi ad oggi sono aumentati!!). Io la interpreto proprio così, come una confessione!Sempre nella stessa recente intervista Geithner sentenziava:"We were in a very deep hole and it is going to take a long time to repair the damage done to confidence."Ebbene, personalmente sono davvero molto preoccupato riguardo la concreta possibilità di una seconda ondata di crisi finanziaria perché, in questo secondo round, le Autorità avrebbero meno armi a disposizione per fronteggiarla, visto che, come hogià scritto, gli Usa hanno già emesso più passività di una “Repubblica delle banane”. Un altro segnale preoccupante è legato alle recenti affermazioni riguardo la decisione delTesoro Usa, annunciata il 24 dicembre scorso, di fornire un sostegno finanziario illimitato a Fannie Mae e Freddie Mac, le due agenzie semigovernative che forniscono mutui a tasso agevolato negli Usa (finora le due agenzie hanno ricevuto qualcosa come60 e 51 miliardi di dollari di aiuti); questa notizia, assolutamente pessima dal punto di vista etico (il Tesoro Usa sta dicendo all’americano medio: “accendi pure un mutuo, poi anche se non sei in grado di ripagarlo, intervengo io, con i soldi ditutti i contribuenti per ripianare le perdite!! Come faccio?! Faccio stampare cartamoneta dalla Federal Reserve e ricompro i titoli spazzatura che sono nell’attivo di Fannie & Freddie, semplice no?!”) potrebbe essere la punta di un iceberg di problemi legati al mercato immobiliare e, probabilmente, il TesoroAmericano vuole giocare d’anticipo.Tra le possibili soluzioni alla crisi, oltre alla più volte citata innovazione tecnologica avrei potuto inserire un’altra importante variabile: il sostegno allo sviluppo mondiale delle grandi economie emergenti (oramai emergenti neanche più di tanto!): Cina e Indiain testa. Ma come è successo nei passati “inverni di Kondratieff” (vedi grafico) durante le crisi si alzano steccati e barriere; paradossalmente “le economie si arroccano dentro castelli medievali” per difendersi e fronteggiare dure guerre commerciali.Torniamo ai rischi, partendo proprio dall’occupazione; in realtà, dell’occupazione abbiamo già parlato nelle scorse Financial Markets LAB Newsletter e nei vari post sul Blog; quindi non ha senso dilungarsi oltre; ribadisco solo che nel corso del 2010l’occupazione rimarrà asfittica con tendenza al peggioramento e, nella migliore delle ipotesi, potrà tendere a stabilizzarsi sui livelli raggiunti nel 2009; gli eventuali segni di miglioramento deriveranno solamente da aiuti statali e non saranno legati a scenari di crescita sostenibile. Come può migliorare l’occupazionese grandi settori come quello immobiliare o automobilistico Americano, stanno lottando con problemi di sovra capacità produttiva?! Come ho già detto, vedo solo una via d’uscita: l’innovazione tecnologica.Ovviamente, problemi sul versante occupazionale si ripercuotono dal lato dei consumi (circa due terzi del Pil Usa una volta era costituito dai consumi degli Americani) e della fiducia delle famiglie.Nel sistema finanziario i problemi non sono ancora del tutto risolti; aspettiamoci nuovi fallimenti di banche nel corso di questo anno e le istituzioni creditizie che non falliranno soffriranno ancora pesantemente (mi riferisco in particolare allebanche anglosassoni; quelle italiane sono un’altra storia, per fortuna); un esempio?Citigroup è esposta per centinaia di miliardi di dollari nel settore real estate; non credo che il settore immobiliare Usa risorgerà questo anno; anzi, penso che il rimbalzoin atto sarà di breve durata (vedi indicatori tipo l’S&P-Case Shiller Index); nei prossimi anni (2010-2012) una marea di mutui dovranno essere rinegoziati negli Stati Uniti; in altre parole, gente che aveva acceso mutui ARMs negli scorsi anni a condizionivantaggiose saranno costrette, a causa del vincolo contrattuale, a rivedere (in peggio!!) le condizioni dei loro mutui; gli ARMs sono dei mutui dove c’è un’opzione, una clausola, che permette al mutuatario di pagare un interesse molto basso per i primianni di vita del mutuo, successivamente l’interesse viene ricalcolato con dei parametri molto peggiorativi. Difatti da qui il prefisso ARMS = option adjustable-rate mortgages.E come commentare la recente affermazione di Geithner (Segretario del Tesoro Americano)?!:“We're not going to have.... a second wave of financial crisis..... We'll do what is necessary to prevent that.......and that is completely within our capacity to prevent."Mi viene da dire una sola parola: FANTASTICO!!!L’affermazione del Segretario del Tesoro Usa è un’ammissione implicita che le autorità Statunitensi si attendono una “second wave” magari proprio legata ai mutui ARMs o alla marea di strumenti derivati ancora annidati nei bilanci delle banche (chedall’inizio della crisi ad oggi sono aumentati!!). Io la interpreto proprio così, come una confessione!Sempre nella stessa recente intervista Geithner sentenziava:"We were in a very deep hole and it is going to take a long time to repair the damage done to confidence."Ebbene, personalmente sono davvero molto preoccupato riguardo la concreta possibilità di una seconda ondata di crisi finanziaria perché, in questo secondo round, le Autorità avrebbero meno armi a disposizione per fronteggiarla, visto che, come hogià scritto, gli Usa hanno già emesso più passività di una “Repubblica delle banane”. Un altro segnale preoccupante è legato alle recenti affermazioni riguardo la decisione delTesoro Usa, annunciata il 24 dicembre scorso, di fornire un sostegno finanziario illimitato a Fannie Mae e Freddie Mac, le due agenzie semigovernative che forniscono mutui a tasso agevolato negli Usa (finora le due agenzie hanno ricevuto qualcosa come60 e 51 miliardi di dollari di aiuti); questa notizia, assolutamente pessima dal punto di vista etico (il Tesoro Usa sta dicendo all’americano medio: “accendi pure un mutuo, poi anche se non sei in grado di ripagarlo, intervengo io, con i soldi ditutti i contribuenti per ripianare le perdite!! Come faccio?! Faccio stampare cartamoneta dalla Federal Reserve e ricompro i titoli spazzatura che sono nell’attivo di Fannie & Freddie, semplice no?!”) potrebbe essere la punta di un iceberg di problemi legati al mercato immobiliare e, probabilmente, il TesoroAmericano vuole giocare d’anticipo.Tra le possibili soluzioni alla crisi, oltre alla più volte citata innovazione tecnologica avrei potuto inserire un’altra importante variabile: il sostegno allo sviluppo mondiale delle grandi economie emergenti (oramai emergenti neanche più di tanto!): Cina e Indiain testa. Ma come è successo nei passati “inverni di Kondratieff” (vedi grafico) durante le crisi si alzano steccati e barriere; paradossalmente “le economie si arroccano dentro castelli medievali” per difendersi e fronteggiare dure guerre commerciali.


Come ha più volte sottolineato Paul Krugman, la Cina è una grande potenza finanziaria e commerciale che però non si muove in coordinamento con le altre grandi economie. L’esempio più eclatante di questa affermazione è lo yuan fermo per legge al valore di6.8 rispetto al dollaro. L’International Trade Commission ha deciso di rispondere con l’utilizzo dei dazi; proprio gli Usa (tra l’altro, dopo che Obama si è recato in Cina poche settimane fa a sostenere la causa Americana) applicheranno dazi dal 10% al16% sui tubi d’acciaio made in Cina. Usa ed Unione Europea hanno più volte spinto la Cina a rivalutare la propria moneta; proprio alcuni giorni fa il governo cinese ha risposto freddamente che ogni decisione verrà presa secondo i tempi e i modi ritenuti più opportuni. Tra Usa e Cina ci sono in ballo qualcosa come 400 miliardi (dollaro più dollaro meno) di scambi commerciali e, al momento, risulta difficile capire come andrà a finire.Il quadro che ho dipinto è a tinte fosche lo so, anche se qualche opportunità di investimento, come abbiamo visto anche nella I° PARTE non mancherà; l’elenco dei rischi non finirebbe qui; ho voluto evidenziarvi quelli più eclatanti. Concludo questonumero della Financial Markets LAB Newsletter segnalandovi che qualcuno che sta meglio nel mondo e gode di buona salute c’è: le economie dei mercati emergenti ovvero proprio Cina, India, Russia e Brasile in testa. Ho questa convinzione: ritengo che i mercati azionari di queste economie siano da accumulare sulle debolezze vista la forza delle loro economie, che cresceranno a ritmi compresi tra il 5% ed il 10% contro le asfittiche crescite del 2%-3%dei G-10. Vi segnalo infine una frase di V. Lenin (non sono certamente un ammiratore del suo pensiero politico-economico, ma l’affermazione, se riferita all’operato degli Usa degliultimi due anni e mezzo, è molto attuale!):“The best way to destroy the capitalist system is to debauch the currency.”Per il momento è tutto. Passo e chiudo.

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